RIFORME . Ora bisogna approfondire, chiedono i comuni in conferenza unificata, per evitare un neo-centralismo regionale pernicioso. Ma il ministro Caterpillar non vuole saperne
La conferenza Stato-Regioni ha approvato il disegno di legge del ministro Calderoli sull’autonomia differenziata, con i voti contrari di Emilia-Romagna, Toscana, Campania e Puglia. Sì dalle regioni in mano alla destra, no dalle altre.
La mancanza di una considerazione laica dei costi e dei benefici, dei vantaggi e degli svantaggi non è un buon viatico. Affermazioni come quella di Zaia, per cui «Il centralismo è l’equa divisione del malessere, l’autonomia è l’equa divisione del benessere» sono solo frasi ad effetto che suscitano rabbia o ilarità in un paese in cui divari territoriali e diseguaglianze sono cresciuti a dismisura negli anni.
E LE MEZZE PAROLE dei presidenti di destra di regioni del Sud sull’avere prima i Livelli essenziali delle prestazioni (Lep) dimostrano ignoranza o mala fede. Non sanno, o fingono di non sapere, che i Lep rimangono fin qui scatole vuote, che siamo inchiodati alla spesa storica, che in larga parte l’autonomia differenziata prescinde dai Lep. Sarebbe indispensabile approfondire, come chiedono i comuni in conferenza unificata anche nella chiave di evitare un pernicioso neo-centralismo regionale. Ma Caterpillar Calderoli non vuole proprio saperne.
Ha aperto, infatti, il supermercato delle funzioni. Dal suo Ministero esce un dossier di ben 81 pagine che elenca oltre cinquecento funzioni statali nelle 23 materie suscettibili di autonomia differenziata ai sensi dell’art. 116.3 della Costituzione. Forse pensa che sia un passo avanti. Non è così.
LE FUNZIONI ELENCATE sono tutte suscettibili di trasferimento a una o più regioni? Ovviamente no. Se tutte le regioni chiedessero tutte le funzioni elencate nel dossier Calderoli, e tutte fossero concesse, lo stato italiano chiuderebbe i battenti dalla sera alla mattina, senza necessità di defatiganti revisioni costituzionali e noiosi dibattiti accademici. Una morte per consunzione. E chiuderebbe i battenti anche se le funzioni trasferite fossero in numero assai inferiore, ma relative a gangli dell’organizzazione statale essenziali per la convivenza civile, come l’istruzione, la salute, il lavoro, la mobilità, l’energia, i beni culturali e molto altro ancora.
Qual è, allora, la linea del ministro sui trasferimenti? Calderoli ha disegnato per se stesso un ruolo dominante nella trattativa governo-regione ai fini delle intese e della maggiore autonomia. Quindi, per ragioni di chiarezza, trasparenza e assunzione di responsabilità politica, deve avere un indirizzo nella scelta di quali siano le funzioni trasferibili. Sarà decisiva la disponibilità della struttura statale a cedere la funzione fin qui svolta? O sarà decisiva la richiesta di una regione di appropriarsene, prendendo dallo scaffale del supermercato quel che le aggrada? O ancora si procederà ad azzerare funzioni presuntivamente da qualificare come inutili superfetazioni burocratiche? Si farà una classifica in base all’importanza? Chi decide cosa?
La selezione delle funzioni da trasferire o da mantenere allo stato disegnerà un’Italia diversa, consentirà o impedirà le politiche di riequilibrio territoriale, perequazione, eguaglianza nei diritti. I governatori di destra del Sud forse danno quelle politiche per acquisite. Sbagliano, e il conto andrà ai loro rappresentati. E dovrebbe preoccuparsi anche Giorgia Meloni.
UN’ULTIMA DOMANDA. Quante, tra le oltre 500 funzioni, sarebbero trasferibili anche senza autonomia differenziata, forzando la lettura dell’autonomia di cui già la regione dispone? Probabilmente, tutte – o quasi – quelle riconducibili alle materie di potestà legislativa concorrente – 20 su 23 – di cui all’art. 117.3.
L’AUTONOMIA differenziata aumenta, non crea, il pericolo già insito nel Titolo V di balcanizzare il paese in staterelli semi-indipendenti. Lo prova la sanità, dove senza autonomia differenziata siamo passati dal servizio sanitario nazionale ai sistemini regionali, fonte di diseguaglianze estreme e inaccettabili. Può succedere lo stesso con la scuola, il lavoro, l’energia, i porti, gli aeroporti, le autostrade, le ferrovie, i beni culturali e altro ancora.
L’ITALIA DELLA DESTRA è un paese che può generare ripulsa e indignazione, come per i morti nel mare di Crotone.
E l’Italia che piacerebbe a Calderoli e Zaia certo non piace a noi. Bisogna battersi contro il ddl Calderoli, ma anche puntare a una modifica degli artt. 116.3 e 117, come fa la proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare che si può firmare online con lo Spid su www.cordinamentodemocraziacostituzionale.it