Non condivido la rappresentazione della sinistra come ormai persa ad ogni progetto di trasformazione del Paese, delle lotte sociali in Italia come più arretrate rispetto a quanto accade in Francia o in Inghilterra.
E’ senz’altro così se si resta dentro una concezione tutta politicista della sinistra e la si misurar solo sulla base dei risultati elettorali, o se ci si dimentica della straordinaria giornata del 5 novembre dove un vasto fronte, dalla Cgil ai cattolici di Sant’Egidio, ha dato vita all’unica grande manifestazione europea per la pace. Se si gira un po' tra i congressi della Cgil, o fra i siti in cui si esprimono i giovani di Fridays for future, o quelli che collegano fra loro le varie Ong e le associazioni che si occupano di salvare e accogliere i migranti, ci si accorge che esiste un vasto popolo molto preoccupato per la vittoria della destra, e del mix perverso fra neoliberismo e sovranismo, ma che non vive come propria la sconfitta elettorale della sinistra dei partiti, e continua a tessere idee e proposte per le mobilitazioni future, convinti che solo così è possibile arginare l’avanzata della destra, e costruire nel presente e nel futuro l’orizzonte di una altro mondo possibile.
Si sta formando nei fatti una vasta coalizione sociale, che lavora nel profondo delle coscienze di chi vi partecipa, abbattendo progressivamente gli steccati che hanno finora diviso gli operai dagli ambientalisti, il popolo delle differenze e quello dell’uguaglianza. Contano soprattutto su se stessi e sulla loro capacità di iniziativa sociale, ma non sono indifferenti alla politica istituzionale, perché sanno che a quel livello si giocano alcune partite che possono avere effetti drammatici per la continuità del loro impegno. Avere un governo che non fa partire le comunità energetiche, che continua a incentivare la produzione e l’uso delle energie fossili, o che legifera per rendere più difficile il lavoro delle Ong e che perpetua anziché ridurre gli accordi criminali con la Libia, che estende il precariato, o che addirittura assiste indifferente alle aggressioni squadriste contro gli studenti, come a Firenze, non è certo una questione indifferente.
Contro queste cose sono pronte a mobilitarsi. E anche a votare alle elezioni. Ma l’ incapacità dei partiti del centro e della sinistra, la loro incapacità di
costruire un fronte unico contro la destra hanno messo in dubbio per molti di loro l’utilità di andare a votare. Non credono che spetti ai partiti dare loro una identità politica. La loro identità si forma nei luoghi di lavoro e di vita, e si nutre della faticosa opera per costruire legami fra i diversi ambiti in cui essa avviene. Fino a materializzarsi in momenti straordinari come la mobilitazione della pace di novembre, che hanno giustamente interpretato non come la fine, ma come l’inizio di un’azione per dare profondità e durata al loro stare insieme. Coi loro tempi e non con quelli della comunicazione mediatica, o con le attese impazienti dei politici più di “sinistra”, Sul terreno elettorale, che produce le amministrazioni e i governi, sentirebbero come utile la coalizione di tutte le forze di opposizione, di cui elemento essenziale è lo stare insieme del Pd e dei 5stelle. Siccome vivono tra il popolo non sono populisti. E guardano con interesse i tentativi di darsi una più matura cultura politica da parte dei 5Stelle, ma sono anche molto interessati a quel che succede nel Pd, che è nonostante tutto elemento essenziale di qualsiasi coalizione elettorale credibile. Hanno voglia di trovarsi di fronte un Pd, non come un loro possibile partito a cui delegare la propria voglia di cambiamento, ma che per lo meno non sia repulsivo rispetto ai valori che esprimono le loro mobilitazioni. Come è stato il Pd, e tutto il suo attuale gruppo dirigente, che ha votato il Job act e la Buona Scuola, che si è appiattito su un draghismo che va oltre lo stesso Draghi, che ha fatto proprie politiche di destra e securitari e gli accordi con la Libia, la lotta ai poveri per il decoro dei centri storici con la incredibile motivazione di togliere in questo modo spazio alla destra. Non hanno voglia di un partito che li esprima, ma che per lo meno non sia indigeribile rispetto alle ragioni del proprio impegno e della propria vita.
La differenza fra Bonaccini e la Schlein è da questo punto di vista sostanziale. Il buon Bonaccini pensa che del proprio passato non ci sia proprio niente da cui prendere le distanze. La Schlein ai momenti peggiori di quel passato si è opposta fino ad uscire da quel Pd in piena sbornia neoliberista. Nemmeno lei garantisce il cambiamento, e nemmeno lei può essere la leader vera di una nuova sinistra, capace di rappresentare il sociale che si muove. E’, anche se nuova, già troppo “politica” per riuscirci. Ma con lei è per lo meno possibile pensare di andare a votare “utilmente” alle elezioni che verranno senza vergognarsi della propria scelta.