Alla guerra di invasione russa, si poteva rispondere in modo diverso, senza intraprendere una guerra di difesa ucraina? Questo è il punto decisivo della discussione
La richiesta del ministro ucraino Kuleba - “dateci armi, armi, armi” -, mi ha ricordato le parole del maresciallo di Francia Trivulzio al Re Luigi XII: “Per vincere una guerra ci vogliono soldi, soldi, soldi”. Sì, perché la guerra non la vince chi ha ragione (in questo caso l’Ucraina), ma chi ha più capacità distruttiva (vedremo alla fine, quando fine ci sarà, se l’esercito russo o gli armamenti della Nato).
Infatti il Segretario generale Stoltenberg ha detto: "Abbiamo dato sostegno per molti anni formando centinaia di migliaia di forze ucraine e ora gli alleati stanno dando equipaggiamenti per sostenervi nella difesa. È urgente un ulteriore sostegno e oggi affronteremo il bisogno di più sistemi di difesa aerea, armi anticarro, armi leggere e pesanti e altro". Ma al governo ucraino questo non basta ancora e gli ha dato dell’ipocrita: “Chi dice vi do armi difensive ma non offensive è un ipocrita. La differenza tra armi offensive e difensive non dovrebbe avere senso nel mio Paese, perché ogni arma usata in Ucraina dalle forze ucraine contro un aggressore straniero è difensiva per definizione”.
In fondo ha ragione, anche
l’utilizzo di armi tattiche nucleari, se usate per fermare o rispondere all’aggressore, può essere definito “difensivo”. E così, tolto il velo ipocrita alla distinzione tra armi offensive o difensive, siamo arrivati dritti al punto centrale della questione “à la guerre comme à la guerre”, in una escalation continua, nella guerra giusta, fino alla vittoria contro il nemico infame. È la logica di tutte le guerre, così terribilmente tutte uguali a se stesse, giuste o sbagliate che fossero.
Alla guerra di invasione russa, si poteva rispondere in modo diverso, senza intraprendere una guerra di difesa ucraina? Questo è un punto decisivo della discussione. Al pacifismo senza se e senza ma, ho sempre preferito la nonviolenza con tanti se e tanti ma. Dunque provo a ragionare utilizzando alcuni di questi se e ma.
Il governo di Zelensky chiede all’Europa più armi per difendersi, dicendo sostanzialmente: “Se noi fermiamo i russi, ci guadagnate anche voi, altrimenti se noi soccombiamo, poi arriveranno anche a casa vostra”. Dunque pagateci le armi più micidiali possibile, così combattiamo anche per voi.
All’Europa non pare vero di garantire profitti alle varie industrie belliche nazionali e far combattere una guerra per procura all’Ucraina. Ma in Ucraina non c’è una sola voce. Se il governo chiede armi, armi, armi, altre voci, come la Croce Rossa ucraina, chiedono “cibo, cibo, cibo” e altre ancora, come i pacifisti di Kiev, chiedono “verità, verità, verità”. Dunque non esiste una sola richiesta bellica, e non è vero che c’è identità totale tra il popolo ucraino e il suo esercito, così come non c’è una sola resistenza armata, ma anche una resistenza civile che non vuole partecipare alla guerra, ma vuole difendersi ugualmente.
È possibile e realistica una scelta simile? La volontà comune ucraina, espressa in queste drammatiche settimane, di non cedere, di non farsi sottomettere, di resistere, di rifiutare l’invasione, ha colpito il mondo intero. L’identità nazionale, l’orgoglio, il sentimento di essere un popolo unito e forte, è forse ciò che più mi ha impressionato. Se questa forza morale fosse stata usata al posto delle armi, cosa sarebbe accaduto? Se all’entrata dei primi carri armati russi in Ucraina, il governo, con i sindacati, avesse dichiarato immediatamente lo sciopero generale e totale di tutti i lavoratori ucraini, se tutta la popolazione ucraina fosse stata invitata a scendere nelle strade e nelle piazze, con la volontà di bloccare quei carri armati, senza collaborare in alcun modo con le truppe di invasione, chiudendo tutti i servizi pubblici, fermando tutti i mezzi di trasporto, bloccando per uno, due, tre, giorni o mesi tutto il paese, sollecitando la solidarietà internazionale, dicendosi indisponibili a fare la guerra, ma determinati fino alla fine a resistere e non riconoscere in alcun modo l’occupazione, come avrebbero reagito i russi? Cosa avrebbe fatto l’esercito invasore? Fino a dove sarebbe riuscito ad avanzare?
Un popolo indisponibile, pronto a non collaborare in alcun modo con l’invasore, è invincibile. Nessun tiranno riesce a governare un popolo che rifiuta la servitù volontaria, con la resistenza passiva, la disobbedienza civile, la non collaborazione, il boicottaggio e il sabotaggio continuo. Forse proprio in Ucraina c’erano le condizioni storiche, sociali, politiche migliori per attuare questa forma di resistenza nonviolenta; se vi fosse stata una leadership preparata.
Non è utopia, nella storia è già avvenuto. "Cittadini, lavoratori! Sciopero generale contro l'occupazione, contro la guerra, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine", sono le parole del partigiano Sandro Pertini diffuse dalla radio della resistenza italiana; lo stesso Pertini che quando diventò presidente della Repubblica disse: "Si svuotino gli arsenali, sorgente di morte, si riempiano i granai, sorgente di vita". Se al posto del nazionalista in tuta mimetica Zelensky, il popolo ucraino fosse stato guidato da un nazionalista spirituale come Gandhi, ma altrettante determinato a salvare il suo popolo, a che punto saremmo oggi?
In Ucraina c’è chi ha proposto e tentato questa strada, ci sono gli obiettori di coscienza che resistono senza prendere le armi, ma sono un’infima minoranza, inascoltata, censurata, nascosta. Il governo ucraino ha considerato solo la risposta militare, bellica, di scontro sul campo. Le armi della Nato aumenteranno la potenza di fuoco, a cui la Russia risponderà con nuove stragi e nuovi orrori. Alla fine forse l’Ucraina vincerà, ma a che prezzo? E se perderà? Quali saranno le conseguenze?
Accettare di scendere sul terreno dello scontro armato, della guerra, comporta questi rischi, e alla fine si fa la conta dei morti. Resistere civilmente, con la nonviolenza attiva, è ugualmente rischioso, ma alla fine si fa la conta dei salvati.
Mao Valpiana, Presidente del Movimento Nonviolento Esecutivo Rete italiana per la pace