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Continuiamo il dibattito sui risultati elettorali delle amministrative di giugno riprendendo da RavennaSette del 23 giugno una riflessione di Officina democratica, un gruppo faentino di cittadini e di quadri politici che fanno riferimento alla cosidetta sinistra Pd
 
Officina Democratica nasce per promuovere una riflessione sul futuro e le prospettive della sinistra riformista. È evidente quindi come non si possa evitare una considerazione sull’esito delle elezioni amministrative 2016. Ultimamente va molto di moda affermare che destra e sinistra siano due categorie del passato, ma un dato che emerge chiaro e omogeneo dai risultati del primo turno e del ballottaggio: la destra non vota un candidato di sinistra e viceversa. Anche se la destra in Italia si presenta senza un federatore capace di tenere unite le sue tante pulsioni, anche se dall’altra parte qualcuno ha voluto proporre un modello di centrosinistra che ammicca sempre più a destra, gli elettori restano quelli che sono, al massimo più confusi e lanciati verso il non voto. La rinnovata offerta elettorale non è riuscita a plasmare anche i necessari “nuovi” elettori. È solo riuscita ad allontanarli in maniera decisamente evidente.
L'intero profilo del Partito Democratico, negli ultimi anni, è stato impostato nella ricerca di un voto di centro e di destra senza che questo sia mai arrivato. Non solo: nella ricerca di questo voto di destra si è abbandonato completamente il blocco sociale che fino a ieri ha sempre sostenuto il centrosinistra, umiliandolo, rottamando non solo le persone ma anche i valori (come se, in ogni caso, fosse possibile rottamare gli uni o gli altri) e di fatto cacciando dalle urne tutta una consistente fetta del proprio elettorato storico.
Negli ultimi due anni e mezzo abbiamo assistito da parte del Governo ad uno stile di leadership inconsueto per il centrosinistra. La quotidiana delegittimazione dei sindacati, il nazionalismo retorico, la spasmodica ricerca del nemico interno a cui dare la colpa per i propri insuccessi. Questo approccio ha portato a due risultati: da una parte ha smontato pezzo per pezzo il centrosinistra, inteso non solo come somma di partiti membri di una coalizione progressista, ma anche come settore valoriale e sociale di riferimento. Dall’altra ha messo tutti quelli che non la pensano come te (che secondo i sondaggi oscillano fra il 65 e il 70%) nelle condizioni di detestarti. Risultato? Quando si giunge al ballottaggio con una forza post-ideologica e populista come il M5S, l’elettorato di destra si salda a quello grillino e il PD perde, spesso con ampio margine.
Ma il M5S ha vinto anche perché ha lanciato messaggi che vanno anche oltre l'iniziale retorica sull'onestà. Ha parlato di reddito di cittadinanza, di sicurezza, di protezione. Ha parlato di giustizia sociale in un paese dove l'impoverimento si tocca con mano. Torino è solo la punta dell’iceberg del malcontento raccolto: si è perso in particolare nelle zone più di sinistra come Carbonia, Sesto Fiorentino, Finale Emilia. Si è perso anche contro la destra in numerose città del Nord Ovest e del Nord Est. A Milano si è tenuto perché al secondo turno si è fatta battaglia cercando di unire tutte le forze di sinistra, dove possibile, e lanciando messaggi completamente slegati dalla politica nazionale. Così come a Bologna e Ravenna.
In Italia cresce l’emarginazione e la rabbia perché dalla voce del governo lo storytelling, l’innovazione e le riforme sono arrivate come parole vuote, senza significato. Mancano risposte efficaci per diminuire le disuguaglianze economiche che si sono ampliate, per far tornare l’istruzione quell’ascensore sociale che dovrebbe essere, per creare quel lavoro senza il quale non c’è futuro e non c’è dignità. Non possiamo ridurlo solamente un problema di “simpatia” del leader, di “luna di miele” che finisce e non è sicuramente un problema solo italiano. Non c’è miele e non c’è simpatia che tengano se ogni giorno sempre più persone scivolano nel disagio e nella difficoltà di vedere la propria condizione economica sempre più a rischio.
Davanti a questa realtà la prima reazione del Governo è oscillata fra il silenzio imbarazzato e il rilanciare verso una personalizzazione ancora più spinta. Ma il principale contenuto dello storytelling che sopravvive, dopo poco più di due anni di Governo, resta quella riforma costituzionale, che può anche avere degli elementi di buon senso, ma sembra lontana anni luce dalle risposte delle quali hanno bisogno la maggior parte degli Italiani. Sarà davvero necessario spiegarla bene, se si vuole vincere il referendum. L'Italia ha bisogno di riforme che la rendano più competitiva, ma anche più attenta alle fasce deboli. Sembra invece più critica la riforma elettorale, soprattutto nel suo infilarsi tra le pieghe della riforma costituzionale rischiando di trasformarle in criticità serie. Davvero in questo momento di disgregazione politica e sociale la soluzione ai problemi del Paese sta nel forzare un meccanismo maggioritario e scollegato dalla realtà dei territori?
È necessario interrogarsi piuttosto su che cosa manca a questo, stanco, centrosinistra. Tanto abbiamo sentito parlare di connessione sentimentale col Paese in questi anni e a lungo ci siamo convinti che questo Governo l'avesse costruita, mentre quelli che lo avevano preceduto non erano stati in grado di farlo. Ma il Governo ha costruito - tentato di costruire - una connessione ben diversa col Paese, basata sulla critica del passato in quanto tale, sull'insoddisfazione, sulla rabbia. E per un po' ha funzionato, forse per questioni sociologiche e culturali intrinseche agli italiani, forse per ragioni che sono eredità del berlusconismo, forse perché la politica non era più capace di nobilitarsi ed essere percepita come qualcosa di sano e di utile. Ricostruire un agire politico che sia capace di essere sentimentale, non perché di pancia e non perché capace di regalare solo speranze, ma perché volto a costruire le basi di un rinnovato patto di cittadinanza è, a questo punto, davvero fondamentale.
Perché questo è l’agire politico che intendiamo ed è il miglior carburante per la partecipazione e la discussione con quella fetta della società che la Politica dovrebbe tornare a coinvolgere. Come Officina Democratica proveremo a stimolare il dibattito nella Romagna faentina, con ben chiaro in mente un punto di riferimento: ripartire dai temi cardine del centrosinistra deve essere il primo passo.”