MEDITERRANEO. Associazioni, cattolici e Ong criticano la misura votata ieri alla Camera e la prassi introdotta a fine dicembre dal Viminale. Forti pressioni dall’Italia sulla Geo Barents: raggiunga Ancona a tutta velocità
Gommone avvistato dalla nave Ocean Viking - Kevin Mc Elvaney / SosMediterranée
È un coro unanime quello di associazioni e Ong, impegnate nell’assistenza dei migranti a terra o nel loro soccorso in mare, contro la conversione in legge del «decreto Piantedosi». Votata ieri dalla Camera, sarà presto in Senato. «Il giorno in cui arriva l’ennesima notizia di un naufragio davanti alle coste libiche il parlamento italiano, con pessimo cinismo, approva l’ennesimo provvedimento con cui ostacolare i salvataggi delle persone in fuga da morte, violenze, schiavitù. Una vergogna per il nostro Paese», dice Filippo Miraglia, responsabile migranti Arci, nella conferenza del Tavolo asilo e immigrazione (Tai) che si è tenuta ieri a pochi metri da piazza Montecitorio. «La mancanza di vie legali di ingresso in Europa costringe migliaia di persone a rischiare la vita affidandosi ai trafficanti. Non si può continuare a lasciarle morire in mare rimanendo fermi e persino inasprendo le procedure per il soccorso e l’approdo in Italia», afferma invece padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli.
Duri anche i toni delle organizzazioni impegnate nel Mediterraneo centrale. «Dai tempi di Mare Nostrum non esiste un sistema di ricerca e soccorso proattivo e adeguato. Il decreto del governo non interviene su questa lacuna, ma ha come obiettivo limitare la capacità di soccorso delle navi umanitarie. A rimetterci non sono tanto le Ong, ma le persone che affrontano la rotta migratoria più letale al mondo», afferma Juan Matías Gil, capomissione di Msf. Gil si trova a bordo della Geo Barents e denuncia le pressioni che il Centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo di Roma (Imrcc) sta facendo sulla nave affinché si diriga a tutta velocità e senza deviazioni verso il porto di Ancona, assegnato lunedì scorso dopo il soccorso di 48 persone. «Non hanno alcuna considerazione per il benessere dei naufraghi a bordo», dice Gil, che sottolinea la contraddizione tra la richiesta di fare presto e l’indicazione di un porto lontanissimo.
L’Ong Sos Humanity chiede un intervento dell’Ue perché «la nuova legge è contraria al diritto internazionale ed europeo. La Commissione, in qualità di custode della legge, agisca contro queste violazioni di uno Stato membro». Per Sea-Watch si tratta di una «legge propaganda» che «causerà più vittime». «Le morti in mare sono la diretta conseguenza di scelte politiche», accusa la presidente di Emergency Rossella Miccio.
Nella sua presa di posizione Sos Mediterranée pone l’accento anche su un altro aspetto della vicenda: «il “combinato disposto” del decreto e delle prassi di coordinamento applicate alle navi Ong si traduce in una mortale riduzione della capacità di soccorso nel Mediterraneo». La prassi di assegnare porti subito dopo il primo soccorso ma lontani centinaia di miglia nautiche è infatti indipendente dal decreto (e lo precede di due settimane, con le Sea-Eye 4 e Life Support spedite a fine dicembre nella città di Livorno). Le sanzioni previste dalla norma dovrebbero servire a scoraggiare potenziali forme di disobbedienza a queste indicazioni di dubbia legittimità. Finora non ce ne sono state e nemmeno nei casi di soccorsi multipli sono stati applicati fermi o multe. «La legge ha l’obiettivo di svuotare il Mediterraneo dai dissidenti, da coloro che non accettano la logica di morte del regime dei confini – afferma Luca Casarini di Mediterranea – La prassi, però, è molto più avanti: i porti lontani ne sono un esempio. Le vittime di questa guerra sono sempre le stesse: i civili. Donne, uomini e bambini».
Secondo Vittorio Alessandro, ammiraglio in congedo della guardia costiera e membro del comitato per il diritto al soccorso, «questa norma ha una scarsissima valenza applicativa perché dichiara ciò che le leggi italiane e le convenzioni internazionali già prevedono: la necessità di concludere i soccorsi in maniera rapida e tempestiva, l’obbligatorietà delle comunicazioni alle autorità e la possibilità di informare i naufraghi sulle procedure d’asilo». I principali effetti, continua Alessandro, vengono da ciò che non è scritto, come le assegnazioni di porti lontani, e dal piano simbolico, perché «si aggiunge un carico di diffidenza e rancore verso chi esercita attività di soccorso nel Mediterraneo».