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BUFERA SOCIALE. Cinquecentomila i lavoratori in agitazione, tra ferrovie, autobus, insegnanti e impiegati: chiedono salari al passo con l’inflazione. Chiuse del tutto il 40% delle scuole di Inghilterra e Galles

 Londra, la protesta dei dipendenti pubblici - Ansa

Scuole chiuse, treni fermi, aule universitarie semideserte, uffici pubblici silenziosi. Ieri è stata l’ennesima giornata di uno sciopero che ormai è generale, e continuerà a febbraio e a marzo a meno che il governo non ceda alle richieste di aumenti salariali in linea con l’inflazione dietro la stragrande maggioranza delle lotte.

Cinquecentomila i lavoratori in agitazione, tra ferrovie, autobus, insegnanti e impiegati pubblici, di cui centomila insegnanti erano il gruppo più ragguardevole. Molti sono affluiti a Londra già dal mattino per una manifestazione conclusasi nel pomeriggio, a pochi passi da Downing Street. Con tutte le scuole di Inghilterra e Galles coinvolte e almeno ventimila – il 40% – rimaste chiuse del tutto, è il massimo sciopero dal 2016. Il 14 febbraio sciopereranno gli insegnanti gallesi e altre giornate di lotta sono state indette alternatamente in altre regioni del paese per il 28 febbraio e per l’1, il 2, il 15 e il 16 marzo prossimi.

In circa trentamila sono sfilati lungo il centro di Londra fino ai palazzi del potere a Whitehall, dove hanno ascoltato i vari leader sindacali, compresa Jo Grady (Ucu), Mark Serwotka (Pcs) e Paul Novak (Tuc). Ultimo a parlare, il segretario della Rmt Mick Lynch, distintosi ultimamente come figura di riferimento grazie anche alle sue ferme e puntuali uscite mediatiche. Lynch, i cui lavoratori non erano – e vistosamente – tra gli scioperanti perché riuniti in discussione sull’ultima controproposta del governo, ha invitato a continuare lo sciopero fin quando le richieste non saranno accolte.

Cosa vogliono gli insegnanti? La stessa cosa di tutte le altre categorie in sciopero: un salario al passo con l’inflazione, e che non sia ricavato da altri tagli al già consunto budget per l’istruzione. La categoria, orribilmente sottopagata come molti lavoratori del settore pubblico, gravata in automatico da straordinari non retribuiti (presidi e maestri hanno sul groppone anche il lavoro burocratico un tempo riservato alle segreterie, la stessa cosa è accaduta ai medici di famiglia) si è sentita ripetere dalla ministra dell’istruzione Gillian Keegan – il cui polso è leggiadramente appesantito da un Rolex da diecimila sterline – di essere «realistici» quanto alle proprie richieste e che il governo ha già stanziato fondi extra per la scuola, 2 miliardi «che porteranno la spesa reale sulla scuola ai suoi massimi storici».

La canzone resta zeppelinianamente la stessa. Nessun margine negoziabile, bisogna abbassare l’inflazione, con la ben nota spirale prezzi-salari come “pretesto scientifico” per il rifiuto di cacciare fuori i soldi. Il solito rimedio della nonna che gabella una scelta politica e ideologica bella e buona per necessità economica. Lo scontro non può che intensificarsi, soprattutto dovesse il governo continuare nella sua proposta di legge che precetterebbe un numero di lavoratori a recarsi comunque al lavoro nelle giornate di sciopero, onde garantire un livello minimo di servizi. Per giustificare ulteriormente il proprio niet agli aumenti salariali, il governo afferma inoltre di seguire le direttive in materia contrattuale di quello che ammonta essenzialmente a uno dei tanti think-tank dietro i quali si nasconde, il Pay review independent body, un organismo indipendente nella misura in cui è una sua (del governo) stessa emanazione.

Non che gli scioperi solletichino nemmeno vagamente le meningi politiche dei laburisti. Durante il Prime Minister questions Keir Starmer ha cercato disperatamente di evitare di parlarne. Troppo rischioso