IL CASO. Per Calderoli non c’è nessun «blitz» nell’approvazione dei Lep. E difende la via dei Decreti della presidenza del Consgilio (Dpcm). Landini (Cgil): «La Costituzione non dice che i diritti sono diversi in base alla nascita»
Il presidente della regione Campania Vincenzo De Luca - LaPresse
«Una guerra politica durissima». L’ha promessa ieri il presidente della regione Campania Vincenzo De Luca contro la bozza sull’autonomia differenziata presentata dal ministro per gli Affari regionali e le autonomie Roberto Calderoli. «Bisogna ritornare a spiegare che senza una linea unitaria non faranno nessun passo in avanti – ha detto De Luca – La sua bozza rappresenta un passo indietro preoccupante rispetto a valutazioni che abbiamo fatto solo qualche giorno fa. Credo che il testo sia stato molto influenzato dalla scadenza elettorale in Lombardia e in altre regioni». Nello specifico le intenzioni bellicose del presidente campano sono state provocate dal «un rinvio alla spesa storica che doveva essere cancellato, c’è nell’articolo 6 della bozza di nuovo il richiamo al residuo fiscale quindi al trattenimento di flussi finanziari nelle regioni dove maturano i flussi fiscali. C’ è il rifiuto della proposta che avevamo avanzato e cioè che i Lep siano definiti da un organismo tecnico e non da uno politico. E noi proponiamo l’ ufficio parlamentare di bilancio. Non è che può decidere il Consiglio dei Ministri come si definiscono i Livelli essenziali di prestazione (Lep)». «Abbiamo proposto modifiche che si possono fare domattina in termini di efficienza e sburocratizzazione – ha aggiunto De Luca – Ma saremo intransigenti e attestati su una trincea di battaglia politica esplicita e dura se qualcuno pensa di introdurre furbizie o di continuare a penalizzare il Sud».
La reazione di De Luca (nel 2019 si era detto d’accordo con Calderoli, ha ricordato il leghista campano Severino Nappi) è stata causata dall’uscita di Calderoli a proposito dei Lep da approvare con un decreto del presidente del consiglio. A suo avviso ci sarà «un passaggio tra Governo e Regioni, dopodiché ci sarà un parere espresso dal Parlamento, l’intesa definitiva andrà in Parlamento e verrà votata dal Parlamento. Non c’è nessuna fuga in avanti o rischio di blitz». «Così come si è fatto in tutti gli altri casi ai livelli essenziali, c’è una legge dello Stato, nel caso specifico la legge di Stabilità di quest’anno, che demanda al Consiglio dei ministri l’approvazione di una serie di Decreti del Presidente del Consiglio (Dpcm) che vanno a definire questi Lep – ha ricordato Calderoli ieri – Per due anni un governo giallorosso ha gestito tutte le fasi del Covid con dei Dpcm. Quindi non è che quando li fa la sinistra o i Cinque Stelle sono buoni e sono cattivi quando li fa il centrodestra. Il Dpcm è uno strumento che nasce da una legge ed è quello strumento che ha quella duttilità necessaria per affrontare 23 materie».
Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, vede invece in questa opzione «il rischio di modificare in maniera sostanziale la Costituzione con una procedura che di democratico non ha nulla venga spacciata come strumento per allargare la democrazia». «Il parlamento è esautorato. E ogni regione può decidere di fare cosa sia più opportuno fare su 23 materie diverse». Per Landini il problema sta nell’avere introdotto «il concetto della spesa di fatto, con la legge di Bilancio, che sancisce ulteriori diseguaglianze. La Costituzione non dice che i diritti sono diversi in base a dove nasci, ma che i diritti fondamentali devono essere soddisfatti indipendentemente da dove si vive».
Calderoli sta aprendo contraddizioni nella sua maggioranza, tra i presidenti delle regioni meridionali (il calabrese Occhiuto di Forza Italia, ad esempio). 170 sindaci – la rete «Recovery Sud» – hanno scritto al presidente della Repubblica Mattarella. Una rappresentanza politica trasversale sarà ricevuta a palazzo Chigi il 18 o 19 gennaio. La protesta contro le proposte leghiste saranno ascoltate dal ministro per il Sud, il pugliese Raffaele Fitto, e dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Fratelli d’Italia prova a mediare la secessione dei ricchi con il presidenzialismo, un altro modo per fare a pezzi la forma di governo parlamentare