Parla il padre del celebre operaio di carta: "Nei capannoni della logistica non avrebbe il tempo di parlare e non saprebbe con chi farlo". "Landini ha ragione quando dice che oggi il lavoro è disprezzato"
ROMA - Francesco Tullio Altan, si muore in fabbrica e sui piazzali della logistica, ci si scontra tra precari. Che direbbe oggi il suo Cipputi di fronte a questa situazione del mondo del lavoro?
«Nulla, temo. Intanto perché da quel che capisco in quei capannoni ci sono ritmi folli e non avrebbe nemmeno il tempo di parlare con qualcuno. E poi perché non saprebbe con chi parlare, né sul posto di lavoro nè fuori, perché fuori ci si disperde. Cipputi non ha più compagni, è sempre solo». L’operaio più famoso d’Italia, nato 45 anni fa con un segno di penna e approdato anche sulla Treccani come simbolo di un’intera categoria, si è perso - racconta il suo autore - e non si trova più. Non può essere tra i capannoni agli snodi delle autostrade, non sfreccia tra i rider che consegnano le nostre cene a domicilio, non ha più accanto “il Binis”, “il Bigazzi”, “lo Stavazzi”, il collega con mille nomi ma sempre la stessa tuta, a cui affidare di fronte a un tornio o a una pressa le sue fulminanti battute.
Maurizio Landini, il segretario generale della Cgil, ha detto su Repubblica che ormai «il lavoro è disprezzato». Lo è davvero?
«Sì, sono d’accordo. Soprattutto perché il lavoro oggi è talmente parcellizzato, talmente ridotto a rapporti di una singola persona non più contro il padrone, ma con una sorta di entità superiore che sta sopra, che diventa difficile opporsi a qualcosa: è possibile ricattare e sfruttare chi lavora in tutte le maniere, anche nuove».
Lei che esperienza aveva della fabbrica nel ‘76, quando nasce Cipputi?
«Molto esterna, ma i Cipputi li vedevo in giro per Milano, sui tram. Qualcuno alle Feste dell’Unità veniva da me a dire. “Sono io il tuo personaggio” e in effetti gli assomigliava anche. Era forse l’ultimo periodo di qualcosa che durava da decenni e che poi si è perso».
Cipputi negli anni ha votato la sinistra, poi forse si è innamorato della Lega...
«No, il mio Cipputi mai. Di sicuro molti altri Cipputi sì».
E loro avranno anche scelto i 5 Stelle in questi anni
«Credo proprio di sì. Visto il consenso che hanno avuto per forza di cose dovevano avere anche tanti Cipputi come elettori».
Oggi Cipputi chi voterebbe?
«Da quel po’ che lo conosco secondo me voterebbe Pd, è la sua storia. Ma non vorrei parlare per conto di un altro».
Al Pd e al sindacato chiederebbe di occuparsi dei diritti di chi è in quei capannoni e di quelli dei rider?
«Di sicuro sì, ma non so che soluzioni potrebbe offrire. Siamo davvero in un momento complicato dove il lavoro è disprezzato sia da chi lo dà sia da chi lo fa. La nobiltà del lavoro di fabbrica, che magari era ripetitivo e pesante ma dove si capiva il senso di quello che si stava facendo e c’era il piacere di farlo bene, adesso si è persa. Ora l’unico senso di portare un pacco in fretta è di poterne portare un altro dopo».
Landini dice anche che così è a rischio la tenuta della democrazia. È una previsione azzardata?
«No, alla lunga è possibile. Quando non c’è un senso di comunità e ognuno va per conto suo non si controlla più niente».
Cipputi si vede ormai meno tra i suoi personaggi...
«Sì. La presenza sua e dei suoi colleghi si è diradata, se non per occasioni un po’ istituzionali come il Primo maggio o la Costituzione, dove si va a richiamare la vecchia guardia da difendere. Ma di sicuro si parla meno della sua categoria».
Per rubare una battuta proprio a Cipputi al collega che gli annuncia uno sciopero: «Facciamogli un po’ vedere chi eravamo».
«È così. In questa frammentazione è difficile trovare un emblema di chi lavora. Oggi quello che un tempo era Cipputi non appartiene più a un gruppo grande che ha dei valori, delle prospettive e delle idee, ma il suo è un vivere alla giornata, un cercare di farcela».
Lei da un quarto di secolo organizza anche il Premio Cipputi, fino a quest’anno ospitato dal Torino Film Festival e che ora passa a Bologna. Perché?
«Che non fosse più a Torino l’ho saputo da una telefonata dove mi si diceva che il premio non c’era più perché costava. E siccome non costa nulla, se non un paio di notti in albergo, sono rimasto perplesso. Poi Bologna mi ha detto che l’avrebbe ospitato e io ho accettato volentieri perché è una città a me carissima, dove ho passato l’infanzia».
Meno Cipputi tra i suoi personaggi, addio al Cavalier Banana, i celebri ombrelli messi in ombra dall’enorme ombrello globale che è il Covid. Il virus monopolizza anche lei?
«Non si parla d’altro e anche io devo parlare di questo, il mio lavoro forse è diventato un po’ più difficile».
Questo governo di unità nazionale dove tutto si tiene e le differenze si diluiscono che impressione le dà?
«Di qualcosa che ci deve essere perché non c’erano altre strade».
Di Draghi si fida?
«Mi pare una persona competente. Meno competenti forse sono altri con lui».
Draghi riuscirà a portarci - perdoni l’altro plagio - a essere un Paese normale invece che straordinario?
«Quello sarebbe davvero un miracolo».