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La riforma della Costituzione viene sostenuta con parole d’ordine ingannevoli, che non rispecchiano il loro vero significato ma vengono usate per “suggestionare” i cittadini e indurli a credere – in modo semplicistico e fuorviante – ad effetti che essa mai produrrà.

CAMBIAMENTO. Chi non è per il cambiamento, viste le tante cose che non vanno per il verso giusto? Chi non vorrebbe rendere più efficiente il Parlamento nel legiferare? Chi non auspicherebbe governi più stabili? Tutti, ritengo. Ma si tratta di capire se i cambiamenti proposti produrranno o meno quei risultati. Si cambia se lo si fa in meglio, altrimenti meglio lasciare la situazione com’è. Ebbene, di cambiamenti in questi ultimi tempi ne abbiamo già visti: il “Jobs act” ha ridotto e addirittura cancellato diritti fondamentali dei lavoratori; la legge Fornero ha cambiato la vita di milioni di persone, ma non mi pare in termini positivi. Non bisogna quindi farsi ingannare dalla parola “cambiamento”: sappiamo bene che essa può nascondere arretramenti gravi, un peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro.

VELOCITA’. Lo si dice riferendosi ai tempi che sarebbero necessari per approvare le leggi. Ma col sistema attuale non c’è voluto tanto tempo per approvare la già citata legge Fornero, le leggi “ad personam” ai tempi di Berlusconi e il “lodo Alfano”. Altre leggi (omofobia, reato di tortura, prescrizione, ecc.) sono invece ferme da anni nelle commissioni parlamentari – e chissà se verranno approvate – perché non c’è accordo fra i partiti. Per snellire l’iter delle leggi non sono necessari la modifica della Costituzione e lo stravolgimento dell’assetto parlamentare, basta la volontà politica e il saper ricercare il consenso più ampio. E’ appena il caso di ricordare che il confronto, il dialogo e lo stesso esercizio della democrazia richiedono tempo. Democrazia che la riforma rischia di ridurre drasticamente, sacrificandola a quella che viene presentata come “maggior efficienza”.

RIDUZIONE DEI COSTI DELLA POLITICA. Se davvero si vuole ottenere ciò, basterebbero misure semplici, come togliere le spese accessorie dai già alti compensi ai parlamentari. Si otterrebbe molto di più e, soprattutto, non verrebbero stravolti gli equilibri e i “contrappesi” sui quali si basa il nostro sistema istituzionale. Cosa che invece vuol fare la riforma modificando le funzioni, la struttura e il metodo di elezione del Senato.

Le modifiche che si intende apportare alla Costituzione, in effetti, si prefiggono di:

  • attribuire maggior potere al Governo e meno al Parlamento la cui composizione, fatta in gran parte di nominati, sarebbe poi falsata da una legge elettorale che attribuisce un iniquo premio a chi maggioranza non è nel Paese;

  • assegnare meno competenze alle Regioni e maggiori poteri allo Stato centrale;

  • limitare la partecipazione dei cittadini e gli spazi di democrazia a tutti i livelli, come avverrebbe se i senatori non venissero più eletti, ma scelti sulla base dell’appartenenza di partito.

La riforma è ispirata a una visione “aziendalistica”, da qui la ricerca di efficienza e produttività. Ma l’Italia non è un’azienda e i cittadini non sono dipendenti. L’obiettivo non è “produrre” e “fatturare”, bensì creare le migliori condizioni di vita per le persone utilizzando al meglio le risorse a disposizione, con decisioni giuste e oneste.

Inoltre, ma non meno importante, il popolo è ancora sovrano e ha una grande occasione per riaffermarlo: votare NO al referendum del 4 dicembre sulla riforma della Costituzione.