L’accordo tra Israele e Hamas è a un passo, annunciano i negoziatori: nelle prossime ore, al massimo nei prossimi giorni. Intanto, però, a Gaza è un giorno come un altro: raid aerei su tutta la Striscia, almeno cinquanta palestinesi uccisi e corpi sparsi per le strade
Prima della tregua Ieri sera era dato per imminente un accordo tra Israele e Hamas. Sarà in tre fasi. Protesta la destra estrema: non voteremo la resa
Una manifestazione in Israele a sostegno dell'accordo di tregua e per la liberazione degli ostaggi – APGaza
Occhi puntati su Doha dove i negoziati indiretti tra Hamas e Israele sono giunti alla svolta decisiva. L’accordo di cessate il fuoco a Gaza e di scambio di prigionieri, secondo i mediatori – Qatar, Egitto e Usa – e varie fonti sarebbe una questione di ore, al massimo di qualche giorno. Questa mattina potrebbe arrivare l’annuncio. Un contributo, nel convincere (anche alzando la voce con il premier israeliano Benyamin Netanyahu, scrive Times of Israel), l’avrebbe dato Steve Witkoff, l’inviato speciale di Donald Trump, oltre a Jake Sullivan, Consigliere per la sicurezza dell’Amministrazione Biden uscente.
Altre fonti riferivano ieri sera di una risposta del movimento islamico, attesa nella notte, alla «bozza finale» dell’accordo di tregua. Hamas, che ha consegnato al Qatar una lista di ostaggi israeliani ancora vivi, ha replicato che la palla è nel campo di Israele e che solo Netanyahu può far saltare l’accordo, come fece la scorsa estate chiedendo a sorpresa la presenza/occupazione dell’esercito israeliano sul Corridoio Filadelfia, tra Gaza e l’Egitto: una condizione respinta all’epoca da Egitto e Hamas. Ora invece le condizioni dettate da Israele sarebbero state accolte in parte. Gli inviati di Netanyahu hanno presentato ai mediatori un piano che descrive nei dettagli l’occupazione israeliana a Gaza durante e dopo le varie fasi del potenziale accordo in tre fasi. In particolare, Israele ha chiesto di controllare la «zona cuscinetto» larga circa un chilometro e mezzo lungo il confine di Gaza che l’esercito ha costruito nell’ultimo anno distruggendo migliaia di case palestinesi.
Israele manterrebbe i suoi soldati sul Corridoio Filadelfia e anche nel Corridoio Netzarim che taglia in due Gaza, da est o ovest. Si tratterebbe di una presenza militare «temporanea»: l’esperienza però insegna che di temporaneo c’è ben poco quando si parla di occupazioni territoriali da parte di Israele. Si attende inoltre di conoscere quando, se e in quale misura i civili palestinesi potranno tornare in ciò che resta del nord di Gaza.
L’attuale formulazione dell’intesa prevederebbe il rilascio nelle prime due fasi di tutti gli ostaggi e dei prigionieri palestinesi concordati. Hamas, scriveva ieri il
quotidiano Haaretz, rilascerà subito 33 ostaggi del cosiddetto «gruppo umanitario», tra cui donne, bambini, uomini over 55 e i malati. Nelle ultime ore è arrivata ai ministeri competenti israeliani una richiesta del governo per preparare le strutture destinate ad accogliere questi primi ostaggi. Sedici giorni dopo la firma dell’accordo, inizieranno le discussioni sulla seconda fase che porterà al rilascio degli altri ostaggi.
Sul potenziale accordo di tregua pesano come un enorme macigno la distruzione da parte di Israele di quasi tutta Gaza, l’uccisione di 50mila civili palestinesi (sono in realtà molti di più) e il ferimento di oltre 100mila, lo sfollamento di 2 milioni di persone che ora vivono in condizioni di estrema precarietà, con poco cibo e poca acqua. Netanyahu inoltre non proclamerà la fine dell’offensiva a Gaza. Quindi, per poter affermare di fronte ai palestinesi la «giustezza» della sua scelta di attaccare Israele il 7 ottobre 2023, Hamas punta tutto o quasi sulla scarcerazione, in cambio degli ostaggi, dei prigionieri politici palestinesi, inclusi quelli di primo piano. Stando a Kadoura Fares, presidente del Palestinian Prisoner Club, si prevede che in totale saranno rilasciati 3.000 prigionieri. Nella prima fase 90 donne, 150-200 condannati all’ergastolo, 350 ragazzi e giovani sotto i 19 anni e 560 prigionieri anziani o malati. Alcuni saranno deportati in Qatar, Turchia e forse Egitto. Non è ancora chiaro se usciranno di prigione anche Marwan Barghouti, il «Mandela palestinese», e Ahmed Saadat (leader del Fronte popolare).
La seconda fase dell’accordo inizierà circa una settimana dopo l’attuazione della prima e includerà il rilascio degli ostaggi rimanenti, in cambio di un numero concordato di prigionieri palestinesi e di un secondo cessate il fuoco di sei settimane. In questa fase, i negoziati includeranno discussioni sulla fine effettiva dell’offensiva israeliana e sul ritiro completo dell’esercito di occupazione da Gaza. La terza fase comprenderà la ricostruzione e la gestione governativa di Gaza.
L’attuazione dell’accordo da parte di Israele richiede l’approvazione del governo (di destra religiosa), oltre a un lasso di tempo che consenta eventuali petizioni all’Alta Corte di Giustizia. La componente di estrema destra dell’esecutivo farà di tutto per bloccare l’attuazione dell’intesa, a cominciare dal rifiuto di votarla fino a far cadere l’esecutivo guidato da Netanyahu. «È una catastrofe per la sicurezza dello Stato di Israele», ha sentenziato il ministro delle Finanze Smotrich. «Non faremo parte di una resa che include il rilascio di terroristi, la fine della guerra e la dissoluzione dei suoi successi, ottenuti con molto sangue», ha avvertito. Dieci deputati della maggioranza insieme al Forum delle famiglie delle vittime di guerra, hanno scritto una dura lettera a Netanyahu e ai ministri esortandoli a opporsi all’accordo di cessate il fuoco. Ma la maggior parte degli israeliani è consapevole che Hamas non sarà distrutto come prometteva il premier e, pur appoggiando la guerra e la distruzione di Gaza, vuole la liberazione degli ostaggi ancora vivi e la fine di una offensiva che sta costando la vita anche di numerosi soldati