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Alla corte di Netanayahu I piani dell’immobiliarista Trump e della sua banda di famigliari e amici, in apparenza deliranti e comunque di medio-lungo periodo, preludono forse nel breve a mosse più concrete, ovvero il riconoscimento Usa dell’annessione della Cisgiordania da parte di Israele

Donald Trump accoglie Benjamin Netanyahu alla Casa bianca Donald Trump accoglie Benjamin Netanyahu alla Casa bianca – Alex Brandon /Ap

Banditi a Gaza. Banditi i palestinesi, che devono essere deportati, banditi, in un altro senso, coloro che lo propongono. Con Trump gli Stati uniti gettano la maschera e il neocolonialismo del presidente americano si innesta direttamente sul colonialismo sionista. Ora anche Trump vuole un pezzo di Medio Oriente con Gaza che nei suoi progetti deve diventare una sorta di Riviera per ricchi – con la deportazione dei palestinesi – ma che avrebbe già il suo bottino immediato da offrire, il gas offshore dei palestinesi che verrebbero ovviamente depredati anche di questa risorsa, come del resto sta già facendo Israele. Prima degli yacht a Gaza arriverebbero comunque le trivelle americane.

In realtà i piani dell’immobiliarista Trump e della sua banda di famigliari e amici, in apparenza deliranti e comunque di medio-lungo periodo, preludono forse nel breve a mosse più concrete, ovvero il riconoscimento Usa dell’annessione della Cisgiordania da parte di Israele e la cancellazione di ogni possibilità di uno Stato palestinese, il vero obiettivo politico di Tel Aviv ma anche di questa amministrazione americana. Trattare Gaza alla stregua di un investimento immobiliare significa che si può fare con tutta la Palestina in violazione di ogni regola del diritto internazionale. Una logica predatoria che Trump vorrebbe applicare alla Groenlandia, al Canada, a Panama.

Già nelle prossime ore si capirà anche se avrà un seguito la fase due del cessate il fuoco. Se Trump ha chiesto a Netanyahu di non aprire una nuova fase bellica, la realtà sul terreno ci dice ben altro e il premier israeliano, così come la destra radicale che lo sostiene, non ha per niente rinunciato all’obiettivo di sradicare Hamas e la sua organizzazione. Mentre in una qualche stanza di Washington e della società immobiliare Phoenix del genero di Trump Jared Kushner – del quale sono soci anche i sauditi – si costruiscono i plastici della nuova Costa Azzurra mediorientale, la guerra può riesplodere: tutto lavoro per le ruspe. Gli esseri umani e la loro storia secolare sono destinati a sparire.

Le ruspe della politica trumpiana nella Striscia di Gaza per ora sono respinte dalla maggior parte degli Stati della regione ma stanno già scavando divisioni in un Medio Oriente in pieno movimento dopo la caduta di Assad in Siria, la devastante guerra del Libano e la crisi della Mezzaluna sciita iraniana. La Turchia ha appena respinto – come l’Arabia saudita, la Giordania e l’Egitto – lo spostamento dei palestinesi dalla Striscia ma Erdogan ha i suoi piani coloniali, a spese dei curdi, nella Siria del Nord. Ognuno in Medio Oriente ha il suo pezzo di terra da rivendicare con la guerra o la pulizia etnica, religiosa o settaria.

Adesso tutti si dimostrano più o meno indignati per la proposta di Trump ma quando cominceranno ad annusare qualche manciata di miliardi le cose potrebbero sembrare meno definitive. Basti pensare al nuovo leader siriano Al Jolani a capo di un Paese smembrato e con le casse vuote che si è appena accordato con Erdogan per due nuove basi aeree turche nella zona desertica di Badiyah da usare soprattutto contro i combattenti curdi. Ognuno si vende quel che può. Potevamo aspettarci qualcosa di diverso? In fondo una proposta scandalosa come quella su Gaza, accolta con entusiasmo dagli israeliani messianici e non solo, era anche prevedibile.

Il nuovo inviato Usa in Medio Oriente Steve Witkoff è un immobiliarista e soprattutto il genero di Trump Kushner, come ci informa sul manifesto Michele Giorgio, poche ore prima della firma del cessate il fuoco aveva aumentato la sua quota nella società immobiliare Phoenix già attiva nel finanziare gli insediamenti israeliani dei coloni in Cisgiordania. Kushner è un socio dei sauditi e l’ingresso nel Patto di Abramo di Riad – che insiste per una soluzione della questione palestinese – con il conseguente riconoscimento di Israele è notoriamente una delle grandi priorità di Trump. Ma il suo neocolonialismo in Medio Oriente non è poi una novità: o forse ci siamo già dimenticati l’invasione americana dell’Iraq nel 2003 che aveva tra l’altro lo scopo di controllare le risorse petrolifere del Paese?

Con Donald Trump cade la maschera indossata in questi decenni dagli Usa per gettare fumo negli occhi sulla questione palestinese. Basti pensare ai miliardi di aiuti militari americani versati in maniera incondizionata in questo ultimo anno e mezzo a Netanyahu dall’amministrazione Biden mentre il governo di Tel Aviv respingeva ogni sua proposta di cessate il fuoco. Il complesso militare industriale israelo-americano non è una creatura di Trump ma ha decenni di storia e di investimenti alle spalle. Il 70% dei raid di ricognizione su Gaza e il Libano sono stati effettuati dall’aviazione Usa e britannica e gli F-35 forniti dagli americani sono stati decisivi quando il 26 ottobre scorso Israele ha eliminato le difese anti-aeree dell’Iran e ampiamente danneggiato la sua capacità di produzione missilistica. E ora gli iraniani – al di là delle sparate su entrambi i fronti – pensano che forse è venuto il momento di trattare sul nucleare.

Ai palestinesi resta solo la resistenza. Al cinema c’è un docu-film girato da giovani palestinesi e israeliani, No other land, che ha vinto già diversi premi. Non lascia molte speranze ma rende in modo chiaro ed evidente di chi sono le responsabilità e come potrebbe cambiare il corso della storia. Di sicuro a Trump non interessa: a lui fa comodo soltanto cancellare la storia. E a noi?