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Gli Usa aumentano le tariffe su tutte le importazioni, portando l'aliquota per wafer e celle solari al 60%. Pechino risponde con dazi del 15% su carbone e gas naturale liquefatto e del 10% sul petrolio greggio, mentre blocca alcuni metalli rari.

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La guerra commerciale lanciata dagli Stati Uniti prende il via e si allarga immediatamente all’energia. Il 1 febbraio Washington ha annunciato l’introduzione di nuovi dazi che avrebbero colpito Cina, Canada e Messico.

Per i propri vicini, per i quali era prevista una tariffa del 25% sulla maggior parte dei beni (ridotta al 10% sulle importazioni di energia dal Canada) Donald Trump ha negoziato una sospensiva di 30 giorni in cambio di concessioni sulla politica di controllo delle frontiere e sulla lotta alla criminalità.

Pechino invece dalle 6 di ieri mattina, 4 febbraio, deve fare i conti con una tariffa aggiuntiva del 10% su tutte le sue esportazioni verso gli Usa.

La definizione di “risorse energetiche” contenuta nell’ordine esecutivo statunitense include il polisilicio, le celle solari e i wafer

A settembre 2024, l’amministrazione Biden aveva raddoppiato le tariffe sulle celle solari dalla Cina dal 25% al ​​50%. A dicembre era arrivata una misura simile polisilicio e wafer. Ne deriva che questi prodotti provenienti dal gigante asiatico sono ora soggetti a tariffe del 60%.

La replica di Pechino

La risposta della Cina è arrivata puntuale. Ieri il ministero delle finanze cinese ha annunciato tariffe del 15% su carbone e gas naturale liquefatto e del 10% su petrolio greggio, attrezzature agricole, veicoli di grossa cilindrata e pick-up dagli Stati Uniti.

Non solo: Pechino ha decretato un immediato blocco delle esportazioni di cinque metalli critici e prodotti correlati utilizzati anche nei settori dell’energia e della difesa: tungsteno, tellurio, bismuto, indio e molibdeno.

Si tratta dell’ennesimo tentativo della Cina di trasformare in un’arma il suo predominio nell’estrazione e nella lavorazione di questi materiali, forse in risposta alle indagini antidumping americane sul materiale anodico attivo proveniente dalla Cina, che potrebbero portare a possibili dazi doganali fino al 920% sulle importazioni dal Paese asiatico di grafite e di altri componenti chiave per le batterie al litio (Dazi Usa del 920% sugli anodi cinesi? Rischio caro-batterie).

La Cina ha anche presentato ricorso all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) contro i dazi imposti da Trump.

Capital Economics, una società di ricerca con sede nel Regno Unito, ha stimato che le tariffe aggiuntive della Cina si applicherebbero a circa 20 miliardi di dollari di importazioni annuali, rispetto ai 450 miliardi di dollari di beni cinesi soggetti ai dazi americani.

“Le misure sono piuttosto modeste, almeno rispetto alle mosse degli Stati Uniti, e sono state calibrate per inviare un messaggio agli Usa”, ha affermato in una nota Julian Evans-Pritchard, responsabile della divisione China Economics dell’azienda.

I nuovi dazi cinesi non entreranno in vigore prima del 10 febbraio, dando a Washington e Pechino il tempo di provare a raggiungere un accordo. Trump ha infatti in programma di parlare con il presidente cinese Xi Jinping nel corso della settimana.

Le implicazioni della guerra dei dazi

Secondo la US Energy Information Administration, le importazioni cinesi di petrolio greggio statunitense erano già in calo, del 52% nei primi 11 mesi del 2024 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (circa 230.540 barili al giorno).

Secondo dati doganali cinesi citati da Reuters nell’arco dell’intero anno le importazioni statunitensi hanno rappresentato l’1,7% delle importazioni di greggio della Cina, per un valore di circa 6 miliardi di dollari, in calo rispetto al 2,5% del 2023.

Tuttavia, le importazioni di GNL americano sono in crescita nel Paese asiatico e hanno raggiunto un totale di 4,16 milioni di tonnellate l’anno scorso, per un valore di 2,41 miliardi di dollari.

L’importazione di gas naturale liquefatto dagli Usa tramite contratti a lungo termine potrebbe rimanere conveniente, nonostante i dazi, per gli acquirenti cinesi, secondo studiosi dell’ICIS, società londinese che fornisce analisi di mercato. Ma è probabile che il gigante asiatico eviterà comunque di acquistare carichi spot da Washington, andando quindi a cercare altre fonti.

Durante la prima amministrazione Trump era successo lo stesso con il greggio statunitense: la Cina aveva imposto tariffe del 25% riducendo gli acquisti di 300.000-400.000 barili al giorno e rivolgendosi a mercati alternativi come l’Africa occidentale e i Paesi asiatici.