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Al vertice atlantico a Washington parte l’attacco «per difendere i nostri valori». Biden in crisi alla prova definitiva per le elezioni. Difesa aerea, F-16, sicurezza: l’Ucraina porta a casa tutto, ma non l’ingresso ufficiale nel Patto

 Foto di gruppo al summit Nato di Washington - Ap

Convinzioni comuni. Secondo il presidente Biden è questo che ha tenuto la Nato unita negli ultimi 75 anni e non solo non è il momento di metterle in discussione ma, si legge tra le righe delle sue dichiarazioni, bisogna passare al livello successivo.

La Nato deve farsi mondo e tenere dall’Atlantico al Pacifico l’ordine che gli Usa hanno voluto erigere dopo la seconda guerra mondiale.

L’Ucraina è onnipresente, perché è il terreno di scontro con il nemico attuale russo, ma si deve evocare in ogni occasione il «pericolo cinese», giacché Pechino è il nemico futuro designato ed è stata al centro di molti discorsi sui rischi per il futuro dell’Occidente. «Perché ciò che accade oggi in Ucraina può accadere domani in Asia» ha dichiarato l’attuale segretario della Nato Jens Stoltenberg.

Il segretario della Nato Jens Stoltenberg.

«Ciò che accade oggi in Ucraina può accadere domani in Asia»

L’Europa deve dare di più per scongiurare il temuto «effetto Trump», ovvero la possibile elezione del tycoon che esigerà dai Paesi dell’Ue molti più investimenti per la difesa, ma nel frattempo si annuncia il posizionamento di batterie di missili da crociera Usa in Germania.

E intanto si blandiscono i futuri alleati, il premier

giapponese Kishida – «amico profondo della Nato» – si lanciano moniti contro le autocrazie che si alleano e si guarda con sospetto al riottoso premier ungherese Orbán, che pure ieri ha avuto da ridire sulla linea che Washington ha imposto.

Il presidente statunitense Joe Biden sul podio del summit Nato a Washington
Il presidente statunitense Joe Biden sul podio del summit Nato a Washington, foto Evan Vucci/ Ap

Sullo sfondo i malumori palesati dalla Spagna per «i pericolosi doppi standard» tra il trattamento riservato all’Ucraina e quello a Gaza rispetto al diritto internazionale e alla difesa dei diritti umani. Ma sono quisquilie, l’importante è restare uniti nella formazione originale, che vede Washington nel ruolo di capitano, allenatore, dirigente e arbitro in ogni sfida.

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«JILL E IO» ha scritto Biden, palesando l’importanza che la stampa da settimane attribuisce alla moglie del presidente, “l’unica che il capo di stato ascolta, l’unica in grado di farlo ritirare” scrive la stampa a stelle e strisce, «siamo stati onorati di avere così tanti alleati e amici stretti nella stessa stanza ieri sera alla Casa Bianca».

La presenza e il supporto della first lady sono stati fondamentali in questa tre giorni estenuante per Biden, ma la prova definitiva è avvenuta nella notte, durante la conferenza stampa finale del summit sulla quale erano puntati i riflettori di tutti i media del globo.

Joe Biden su X

Jill e io siamo stati onorati di avere così tanti alleati e amici stretti nella stessa stanza ieri sera alla Casa Bianca. Siamo vicini perché condividiamo delle convinzioni

La stampa, i senatori democratici statunitensi, i finanziatori della campagna elettorale presidenziale, gli elettori da una costa all’altra erano con gli occhi puntati sulla tv per vedere se davvero «l’uomo che ha battuto Trump una volta» (come si è autodefinito Biden) ha speranze di farcela di nuovo. Intanto, però, il presidente ha serrato i ranghi intorno alla macchina bellica statunitense: «Possiamo non condividere una lingua comune o un confine comune, ma siamo vicini perché condividiamo tutti delle convinzioni comuni».

UNA DI QUESTE sembra essere che la Russia non potrà uscire vincitrice dal conflitto in Ucraina. Parlando a una delle conferenze stampa di ieri, il Consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, Jake Sullivan, ha dichiarato di nuovo che «l’Ucraina prevarrà in questa guerra».

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Tuttavia, e qui sta la novità (forse già figlia della possibile elezione di Trump), «serve costruire un ponte per l’Ucraina verso la Nato». In altri termini, serve che gli stati europei si facciano garanti del sostegno continuo a Kiev, sono loro a dover sorreggere le impalcature di quel ponte ideale.

«In questo vertice» ha proseguito Sullivan, «l’Ucraina si è assicurata una serie storica di risultati: difesa aerea, F-16, assistenza supplementare per la sicurezza, un patto di nazioni impegnate a sostenerla a lungo termine».

Un missile cruise Tomahawk parte dalla USS Wisconsin
Un missile cruise Tomahawk parte dalla USS Wisconsin, foto Ap

Quindi è una vittoria per Kiev? Si vedrà nella pratica, per ora ci sono solo molti impegni. Ma, come ha dichiarato Zelensky nella conferenza di fine lavori: «La Nato doveva dimostrare di essere al nostro fianco in modo concreto e l’ha fatto».

Una mezza vittoria, in conclusione. L’altra metà, anche se non se ne è parlato per non guastare la festa, è che l’ingresso dell’Ucraina della Nato è rimasto nella sfera del possibile. Domani, forse.

IN CAMBIO di maggior supporto al governo di Zelensky, Biden ha annunciato il ritorno delle batterie di missili a lungo raggio (SM-6, Tomahawk e armi ipersoniche) in Germania dal 2026, a protezione del «fianco est della Nato».

Il cancelliere tedesco l’ha definita «un’ottima decisione» e Stoltenberg «la prova dell’impegno di Washington nei confronti dell’Alleanza e della sicurezza europea».

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MOSCA ha definito tale decisione «una mossa che porta all’escalation» e ha promesso una risposta, «misure necessarie per contenere la minaccia» proveniente dal Patto atlantico. In risposta all’ingresso nella Nato di Kiev, che molti dei partecipanti al summit di Washington hanno definito «irreversibile», Mosca ha replicato «non lo accetteremo mai».

Mentre Pechino ha ammonito: «La Nato dovrebbe smetterla di enfatizzare la cosiddetta minaccia cinese e di provocare scontri e rivalità»