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LE TRATTATIVE. «Make Europe great again», Orbán lancia lo slogan del semestre ungherese e toglie il veto su Rutte al posto di Stoltenberg. Il caso Avs, confermati al momento sono Salis, Lucano e Marino: tre su sei
 L’aula del Parlamento europeo - Ap

Il tavolo delle trattative per i top jobs non si è chiuso, quello per la maggioranza parlamentare si è appena aperto. Sono due giochi intrecciati. Partendo dal primo, la cena informale dei leader lunedì notte ha trovato un accordo di massima ma poi è andata in stallo su due fronti: la richiesta del Ppe di una staffetta al vertice del Consiglio europeo, con inizio per i primi due anni e mezzo assegnato ai socialisti, e le rivendicazioni di Giorgia Meloni per la scarsa considerazione da parte dei leader Ppe-socialisti-liberali dei risultati elettorali che hanno visto il montare della destra in molti paesi, a partire da Francia e Germania.

Tra il primo e il secondo round (che sarà al prossimo Consiglio europeo del 27 e 28 giugno a Bruxelles), inizia la fase di formazione delle squadre. Ovvero i gruppi parlamentari che a Strasburgo, tra un mese, dovranno comporre una maggioranza per eleggere il presidente della Commissione Ue: il von der Leyen bis, se regge il compromesso provvisorio finora raggiunto.

PPE A QUOTA 200

Il secondo tempo è tutto sui numeri, e questo i gruppi lo sanno bene. In questi giorni l’Eurocamera ospita una fitta serie di incontri costitutivi, oltre al lavorio di quelli preparatori, per presentarsi come più forti e possibilmente coesi ed eleggere il proprio leader, che li guiderà nella navigazione parlamentare.

Ieri ha iniziato il gruppo di maggioranza relativa, il Ppe, per riconfermare il Cdu tedesco Manfred Weber e accogliere diverse nuove delegazioni nazionali. Tra queste spiccano il Nuovo contratto sociale (Nsc) e il ruralista Bbb, i partiti olandesi al governo nei Paesi bassi insieme all’islamofobo Pvv di Geert Wilders e ai liberali dell’ex premier Rutte. Importante, politicamente e numericamente, anche l’ingresso degli ungheresi di Tisza, il partito di Peter Magyar, sfidante del premier ultranazionalista Viktor Orbán, che porta in dote 8 eurodeputati. In totale, le nuove acquisizioni spingono la Balena bianca europea a oltrepassare la soglia psicologica dei 190 seggi.

SOCIALISTI E DEMOCRATICI

Discussione tutta interna quella che impegna i socialisti del gruppo S&D, non sul fronte numerico, che li vede secondi a quota 136 seggi, quanto rispetto alla presidenza del gruppo. In teoria spetterebbe alla delegazione più grande, ovvero quella Pd, che supera di un eletto il Psoe spagnolo, ma secondo un’indiscrezione che circola a Bruxelles, gli spagnoli non sembrano disposti a cedere sul nome dell’attuale leader parlamentare, la capogruppo Iratxe Garcia Perez. A dire il vero al Pd manca il nome del 21esimo eletto, che risulterà comunque dalla rinuncia di Alessandro Zan, candidato sia nel collegio Nord ovest che in quello Nord est. Il tema è aperto, dato che ieri fino al tardo pomeriggio era in corso una riunione tra i capi delle delegazioni nazionali del gruppo.

VERDI E LEFT, IL CASO AVS

Sulla formazione di questo gruppo parlamentare, come degli altri, incombe il caso italiano. Sui nostri eletti nazionali infatti pesano due problemi: il sistema di scelta multipla dei collegi e il caso del riconteggio di alcune decine di sezioni della Capitale, a oggi non ancora terminato. La questione riguarda anche le delegazioni di Lega e FdI: nel primo caso Vannacci (intercettato giusto ieri nei corridoi del Parlamento europeo a Bruxelles) deve optare tra Nord ovest e Centro, nel secondo Giorgia Meloni deve ancora formalmente rinunciare, così come il leader Fi Antonio Tajani, per dare modo agli eletti di essere confermati.

La situazione forse più intricata è però quello degli eletti in Avs, dove i confermati al momento sono Ilaria Salis, Mimmo Lucano e Ignazio Marino, ovvero tre dei sei eletti totali dell’Alleanza tra i partiti di Fratoianni e Bonelli. Oltre al labirintico «se rinuncia in quel collegio, fa entrare qualcuno in quell’altro», che nel caso di Avs è perfino multiplo, se ne aggiunge uno di appartenenza partitica italiana, che si riflette nell’iscrizione al gruppo a Strasburgo. Ad esempio, Leoluca Orlando, per diventare eurodeputato, attende l’eventuale rinuncia sia di Salis che Lucano nella circoscrizione Isole. Benedetta Scuderi otterrebbe il seggio solo se nel Nord ovest rinunciassero Salis, Lucano e Marino. Il punto è poi che l’ultimo ha già aderito ai Greens, mentre Salis e Lucano dovrebbero andare in Left. Chi saranno e dove andranno gli altri tre?

Oggi si tiene a Bruxelles una prima riunione costitutiva del gruppo Greens per eleggere i leader, ma la riconferma di Bas Eickhout e Terry Reintke avverrà senza certezze sulla composizione della delegazione italiana.

DESTRA E TRATTATIVE NATO

La destra, da parte sua, lavora sottotraccia, anche se di tanto in tanto emergono dichiarazioni in direzione di un orizzonte unitario. Lo menzionano sia dirigenti di Ecr che di Id, tra cui il leader della Lega Salvini, mentre il premier ungherese Orbán – il cui Fidesz rimane al momento tra i non iscritti a Strasburgo, con Ecr ancora divisa sulla sua adesione – che chiede di unire le forze della destra europea, se non si vuole «ignorare la volontà degli elettori». Non è poi passato inosservato come, preparandosi al semestre di presidenza, con inizio a luglio, l’Ungheria abbia rubato lo slogan trumpiano: «Make Europe great again». Così nel complesso, contando sui nuovi acquisti, i raggruppamenti neri terranno le loro sessioni costitutive dopo tutti gli altri: il 26 giugno Ecr, il 3 luglio Id, quando andrà anche sciolto il nodo di AfD, espulso da Id dopo il caso Krah.

Infine, nella partita delle nomine, entra in gioco anche la Nato. Lo certifica il segretario generale Stoltenberg, che definisce «molto vicina» l’intesa su Mark Rutte come suo successore. Merito di Orbán, che ha tolto il veto sul nome del premier olandese uscente, dopo aver avuto rassicurazioni sulla possibilità di non partecipare alle attività alleate in Ucraina. Anche la Slovacchia sostiene Rutte