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La visita di Meloni con Rama ai nuovi campi in Albania è un’esibizione del modello italiano di deportazione dei migranti fuori dal territorio europeo. Condita da maniere forti e attacchi alla stampa. La «soluzione» fa proseliti nella Ue e rischia di imporsi dopo le elezioni

DEPORTO SICURO. Per la premier il denaro speso non è un costo ma un investimento. «Il protocollo sarà imitato. Farà da deterrenza alle traversate»

Lo spot elettorale di Meloni: i centri in Albania «sono un investimento» Rama e Meloni nel porto di Schengjin - LaPresse/Chigi

I centri in Albania apriranno il primo agosto. Lo ha promesso ieri la premier Giorgia Meloni durante la conferenza stampa con l’omologo Edi Rama, a margine del tour nelle strutture di Gjader e Shengjin. Lui altissimo, con la faccia seria, davanti alla bandiera rossa con l’aquila stampata sopra. Lei più piccola, con l’espressione concentrata, annuisce alle parole del partner politico o affila lo sguardo alle domande dei cronisti.

L’INCIPIT È UNA LUNGA tirata contro i giornalisti italiani. Per Rama hanno dipinto l’Albania come un narcostato, arrivando a Tirana con notizie già scritte. «È un sollievo vedervi qui sani e salvi, in quest’area che è il cuore della malavita albanese, dove agiscono clan legati al traffico di esseri umani, secondo quello che ha scritto un quotidiano del vostro paese», dice.

L’ironia che non riesce a dissimulare il fastidio per le inchieste sui presunti rapporti tra esponenti del suo governo e della criminalità organizzata albanese. Parla in italiano Rama «perché qui siamo in territorio italiano». E in questa lingua ripete una frase sentita altre volte: «La mafia non esiste». Lo direbbe la procura speciale secondo cui la criminalità di Tirana è organizzata su base familiare, senza la struttura gerarchica di Cosa nostra, Ndrangheta o Camorra.

Meloni rinnova la solidarietà all’amico, vittima della macchina del fango, e ripete che le critiche sono legittime, «per carità», ma i giornalisti devono stare attenti a non minare l’interesse nazionale quando in mezzo ci sono

altri paesi. Quella di essere un nemico interno è un’accusa grave, anche se pronunciata con il sorriso.

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È A METÀ del suo intervento, comunque, che la presidente del consiglio dichiara: «Vogliamo fare le cose per bene. Perché se funzionerà, e funzionerà, inaugureremo una fase completamente nuova nella gestione del problema migratorio. L’accordo potrebbe essere replicato in altri paesi e diventare parte di una soluzione strutturale». È questa la vera partita che Meloni sta giocando.

Non è detto che riuscirà a portarla a casa, ostacoli e punti oscuri non mancano: come quel mare dove i migranti non sono «irregolari» ma «naufraghi» e le operazioni di screening risultano particolarmente complesse, o quei giudici che hanno mandato alla Corte di giustizia Ue la norma sul trattenimento e contestano la definizione governativa di «paesi sicuri». Se non funzionasse avrebbe dei capri espiatori, in caso contrario segnerebbe un gran colpo.

Meloni sa di avere le spalle coperte a livello europeo perché la volontà di esternalizzare le pratiche d’asilo è trasversale agli schieramenti e ben vista anche in Germania. Lo testimonia la lettera con cui 15 paesi Ue, su 27, hanno chiesto di usare hub nei paesi terzi. Modello Meloni-Rama.

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PER QUESTO LA PREMIER non intende badare a spese. È convinta che i soldi necessari, cita 670 milioni ma siamo già sul miliardo, non siano perdite ma «investimenti». Il cui rendimento atteso è la diminuzione dei flussi, secondo la teoria della «deterrenza» alla base delle strategie migratorie del governo. Funziona così: rendo sempre più difficile e costoso raggiungere l’Italia – finanziando i regimi nordafricani, ostacolando il soccorso in mare o mandando le persone in Albania – affinché sia sempre meno conveniente partire.

Il protocollo permette di settare il modello sulla categoria dei migranti provenienti dai paesi definiti «sicuri» per decreto. Solo loro saranno portati oltre Adriatico: per adesso le procedure d’asilo in stato di trattenimento non riguardano altri casi. Recentemente l’esecutivo ha esteso la lista da 16 a 22 stati, includendo Egitto e soprattutto Bangladesh, il nuovo obiettivo delle destre sul fronte sbarchi e su quello dei decreti flussi.

Il paese è in testa a entrambe le classifiche e per il governo questo dipende dalle rete criminali, non dalle condizioni di vita in quel lembo di Asia. Meloni fa i conti: nel 2024 sono sbarcati 11mila migranti dai paesi sicuri. Tolta una metà di possibili vulnerabili, tutti gli altri sarebbero potuti esseri rinchiusi nei centri in Albania, se fossero stati a pieno regime.

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NÉ MELONI NÉ RAMA spiegano cosa succederà a chi non ottiene l’asilo, ovvero come e da dove sarà rimpatriato. Non c’è ancora chiarezza neanche su luogo e modalità degli screening per separare i migranti in base a provenienza e vulnerabilità.

Si sa solo che la nave privata noleggiata dal Viminale dal 15 settembre farà da «hotspot fluttuante» e coprirà le spalle alla marina, che potrebbe essere necessaria altrove nel complicato scenario mediterraneo. Fino a quel giorno, comunque, i trasferimenti li faranno le navi militari italiane