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INCHIESTA LIGURIA. La parola d’ordine che accomuna l’intero centrodestra è secca: «Scavallare le europee». Poi si deciderà la sorte di Toti le cui dimissioni, però, sono date per quasi inevitabili. Ieri di […]
La destra aspetta giugno per il fine corsa di Toti Giovanni Toti - foto Ansa
La parola d’ordine che accomuna l’intero centrodestra è secca: «Scavallare le europee». Poi si deciderà la sorte di Toti le cui dimissioni, però, sono date per quasi inevitabili. Ieri di fronte al gip il governatore ligure, come preannunciato, si è avvalso della facoltà di non rispondere. Lo farà però la prossima settimana, quando sarà interrogato dal pm come da lui richiesto, e solo dopo quell’interrogatorio verrà inoltrata la richiesta di revoca degli arresti domiciliari. Se respinta, sarà inevitabile il ricorso di fronte al Tribunale della libertà. La linea di difesa è già tratteggiata e anticipata dal suo legale, l’avvocato Stefano Savi: Toti sosterrà di non aver commesso alcun illecito e di non aver incassato un solo euro per se stesso. Se riuscirà a ottenere la revoca degli arresti avrà una carta da giocare per evitare le dimissioni. Ma le sue chance sono comunque ridotte all’osso. Dall’interno di Forza Italia, lontano dalla ribalta delle dichiarazioni ufficiali, lo fanno capire chiaramente: il problema non è solo il procedimento penale ma il quadro del sistema di potere costruito da Toti e che, anche al netto dei rilevi penali, appare letteralmente impresentabile.
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L’ipotesi delle le dimissioni, fa sapere Savi, Toti la sta considerando. Ma dovrà prima esserci «un confronto col mondo della politica». Come dire che il governatore deve prima capire se e quanto la destra è disposta a sostenerlo. La realtà è che a esporsi sin troppo in sua difesa è solo la Lega. Salvini risponde al Conte che denuncia «la nuova tangentopoli» reclamando dimissioni e lo fa a muso duro: «Toti fa bene a non dimettersi. Si è innocenti sino a prova contraria e se tutti gli indagati si dimettessero l’Italia si fermerebbe. Poi vorrei vedere se ci fossero microspie negli uffici di qualche magistrato quanti resterebbero in carica». L’appassionata difesa deriva in parte dall’amicizia che lo lega a Toti ma in parte anche maggiore dal fatto che in quel sistema di potere, desolante con o senza gli illeciti, proprio la Lega era centralissima. Al Carroccio, del resto, Toti è sempre stato vicino, tanto da rappresentare, quando ancora aveva in tasca la tessera azzurra, quasi l’uomo di raccordo.
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Anche da FdI, sinora molto tiepida, si leva una voce vibrante in difesa di Toti, quella del ministro Nello Musumeci: «Sono trent’anni che la magistratura avanza acquisendo spazi non suoi. C’è una minoranza di giudici che sono rimasti comunisti». Il ministro si espone sino a dichiarasi «convinto che Toti riuscirà a dimostrare la sua estraneità ai fatti contestati». Anche il ministro della Protezione civile, come il collega Crosetto 24 ore prima, insiste sul sospetto dell’arresto a orologeria: «Lasciatemi dire che a venti giorni dalle elezioni questo provvedimento qualche dubbio lo alimenta».
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FdI è meno sbilanciata e più prudente. Il guardasigilli Nordio ricorda che chiedere all’indagato di provare la sua innocenza «è una bestemmia» perché «in una civiltà democratica è l’accusa che deve dimostrare la colpevolezza». Quindi semaforo verde per i sospetti sulla tempistica dell’arresto. Muro compatto contro la carica delle opposizioni che reclamano le dimissioni come se la colpevolezza fosse già provata. Però massima cautela e nessuna barricata quando si arriva al tema delle dimissioni. Resteranno fuori discussione sino al 9 giugno perché se Toti le rassegnasse suonerebbe come un’ammissione di colpa e il contraccolpo elettorale potrebbe essere pesante. A urne chiuse, salvo svolte clamorose a favore dell’indagato, le cose cambieranno