L'INTERVISTA. Anna Luise, ricercatrice Onu e Ispra: «Gli ecosistemi del suolo danno da vivere agli esseri umani, agli animali e alla vegetazione. Senza un suolo in buona salute non sopravviviamo»
Anna Luise, responsabile della Struttura di missione per le tematiche globali nell'ambito dell'Agenda 2030 dell'Ispra, membro per tre anni della Science Policy Interface della Convenzione Onu sulla desertificazione e la siccità e tuttora corrispondente tecnico-scientifico per l’Italia
Ha partecipato ai principali tavoli internazionali sulla desertificazione. Anna Luise, responsabile della Struttura di missione per le tematiche globali nell’ambito dell’Agenda 2030 dell’Ispra, membro per tre anni della Science Policy Interface della Convenzione Onu sulla desertificazione e la siccità e tuttora corrispondente tecnico-scientifico per l’Italia, ha un punto di vista privilegiato sul tema.
È ormai assodato che l’Italia rischi fenomeni di desertificazione. Quali sono le zone più colpite?
Un quarto del territorio italiano presenta segni di degrado. La desertificazione è il massimo livello di questo degrado ed è anticipato da fenomeni intermedi. Parliamo del Sud, in particolare di Sicilia, Sardegna, Puglia, Basilicata, a cui si aggiungono, ora, aree molto piccole nel Nord, in Veneto, basso Piemonte ed Emilia Romagna. E c’è una risalita del cuneo salino nelle zone del Delta del Po.
Questi segni di degrado del suolo cosa comportano?
Una tendenza a perdere fertilità. Che significa sia perdere produttività economica, quindi danni all’agricoltura, ma anche produttività di tutti i servizi ecosistemici, come contenere l’acqua nei fiumi o regolare i processi biochimici. Gli ecosistemi del suolo danno da vivere agli esseri umani, agli animali e alla vegetazione. Senza un suolo in buona salute non sopravviviamo.
La siccità estrema di questi giorni, che tocca soprattutto il Nord del Paese, coincide con la Giornata mondiale per la lotta contro la desertificazione. Come si inserisce nei fenomeni più globali?
La Giornata è l’anniversario dell’entrata in vigore della Convenzione delle Nazioni Unite per la lotta alla desertificazione e agli effetti della siccità. E la parola siccità è piuttosto rilevante e si somma all’aumento delle temperature a terra. Ma c’è anche il fatto che abbiamo sempre trattato male il nostro suolo, pensando fosse una risorsa rinnovabile, gettandogli antibiotici, antiparassitari, fertilizzanti. È in corso una combinazione di fattori antropici, di uso del territorio, e di fattori climatici. E poi c’è l’aspetto della gestione dell’acqua.
Anche da noi stanno emergendo conflitti sull’uso dell’acqua. Che succede?
La competizione è una vecchia storia, si veda la guerra in Siria o in Palestina. Sono fenomeni da noi più recenti, che però hanno subito un’accelerazione in tutto il bacino del Mediterraneo. Basti pensare al conflitto tra idroelettrico e agricoltura, tra questa e l’uso domestico delle risorse idriche. In Spagna, la situazione siccità è ancora più grave, ecco perché la ministra della Transizione ecologica e della sfida demografica, Teresa Ribera, ha voluto che la Giornata internazionale si celebrasse a Madrid.
Come membro della Science Policy Interface della Convenzione Onu si è occupata delle azioni per l’Italia. Cosa dobbiamo fare?
Si deve cercare un equilibrio tra l’uso del suolo e la sua tutela, per non distruggerne le funzioni. Per quanto riguarda la Convenzione, ogni Paese deve preparare un piano per raggiungere la land degradation neutrality, un tasso zero di degrado del suolo. E programmare un recupero dei suoli degradati. Non c’è, però, un meccanismo di sanzione come non c’era nel famoso accordo di Parigi sui cambiamenti climatici. L’Italia sta lavorando bene, ha definito le attività a partire dal monitoraggio del suolo, per avere informazioni specifiche, perché la desertificazione è un fenomeno globale ma diverso localmente. E, poi, si deve ridurre la pressione antropica sul suolo, arginando il consumo del suolo con limiti nei vari piani di assetto territoriale. E pianificare la gestione delle risorse in chiave sostenibile, a partire dall’acqua. Varrebbero ancora, se fossero davvero seguiti, i principi di Rio De Janeiro 1992: pensare globalmente, agire localmente.
Noi per, ora, badiamo ai danni economici ma altrove la desertificazione mette in gioco la sopravvivenza e innesca fenomeni migratori. Quali sono gli scenari?
L’attuale entità migratoria, che potremmo facilmente assorbire, non è nulla rispetto a quella prevista. Si calcola che entro il 2050 ci saranno 250 milioni di movimenti in Africa, all’interno o verso il Mediterraneo. Se si sovrappone una mappa delle aree desertificate a una delle aree di provenienza dei migranti e delle aree di conflitto locale queste coincidono.