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Lettera agli ex jugoslavi. . Ieri una circolare del Ministero dell’Istruzione ha paragonato le foibe alla Shoah giungendo all’estremo della falsificazione storica. Ci saranno polemiche ma basterà dichiarare che è stata una svista. Intanto però questo aberrante concetto lo faremo circolare pubblicamente ed è questo l’importante perché sarà il primo passo per una sua diffusione nel senso comune.

 

Giornata del ricordo in senato  © LaPresse

Cari amici dell’ex Jugoslavia, vi scriviamo dall’Italia mentre sta passando il «Giorno del ricordo» istituito per commemorare le vittime delle foibe del settembre-ottobre 1943 e del maggio 1945.

Sappiamo che il 10 febbraio è una data storica che riguarderebbe il Trattato di Pace di Parigi del 1947 e non le foibe, ma questa fa parte del modo italiano di rileggere il passato. Ieri una circolare del Ministero dell’Istruzione ha paragonato le foibe alla Shoah giungendo all’estremo della falsificazione storica. Ci saranno polemiche ma basterà dichiarare che è stata una svista. Intanto però questo aberrante concetto lo faremo

circolare pubblicamente ed è questo l’importante perché sarà il primo passo per una sua diffusione nel senso comune. D’altro canto già nel giugno 2020 deputati della destra presentarono un disegno di legge per l’equiparazione e lo rifaranno presto.

È un giorno importante poiché grazie a questa memoria selettiva; alla retorica istituzionale che da anni la accompagna; alla strumentalizzazione che ne fa l’estrema destra parlamentare e non; alla messa all’indice degli studiosi che osano discuterlo, noi possiamo usare il ricordo per dimenticare.

Infatti nel Giorno del ricordo noi dimentichiamo: quando il tribunale di Trieste dello Stato liberale condannò a 120 anni di carcere 50 ferrovieri (italiani e jugoslavi) per lo sciopero del 1919 con l’accusa di anti-italianità e filo-slavismo; quando a Pola nel gennaio 1920 furono condannati a 25 anni i metalmeccanici italiani e jugoslavi con l’accusa di cospirazione contro lo Stato e istigazione alla guerra civile; quando il 13 luglio 1920 a Trieste i fascisti bruciarono la Narodni Dom (Casa del Popolo) della minoranza slovena; quando Mussolini certificò la nascita del fascismo in quelle terre di confine scrivendo su Il Popolo d’Italia: «In altre plaghe d’Italia i fasci di combattimento sono appena una promessa, nella Venezia Giulia sono l’elemento preponderante e dominante».

Dimentichiamo l’italianizzazione forzata con le leggi degli anni 1922-1931 nonché i 544 imputati presso il Tribunale speciale fascista e le 35 condanne a morte comminate a sloveni e croati. Con essi obliamo anche il programma dichiarato dal fascismo per voce del suo capo: «Di fronte a una razza come la slava, inferiore e barbara, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. Io credo che si possano più facilmente sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani».

Cancelliamo dalla memoria pubblica l’invasione italiana di Jugoslavia e Balcani (Albania e Grecia) e con essa i crimini di guerra compiuti dal regio esercito e dalle camicie nere. Dimentichiamo i 36.000 morti di Lubiana a causa dell’occupazione; la cosiddetta «cintura» di filo spinato che nel febbraio 1942 chiuse la città e preparò le razzie dei militari italiani.

Dimentichiamo le centinaia di migliaia di donne, uomini, bambini e anziani rastrellati e deportati nei campi di internamento costruiti dal governo italiano a Rab, Renicci di Anghiari, Gonars e in altre decine e decine di località italiane da nord a sud del Paese.

Dimentichiamo le fucilazioni, le rappresaglie contro civili e partigiani; la guerra totale portata nelle case, nelle strade e sui monti dalle truppe dei Savoia e del duce che costò al popolo jugoslavo oltre un milione di morti.

Dimentichiamo le repressioni in Montenegro comandate dal generale Alessandro Pirzio Biroli e la spietata «circolare 3C» firmata dal generale Mario Roatta, capo del SIM fascista accusato dell’omicidio dei fratelli Rosselli, fuggito da Roma durante il processo e definitivamente assolto da tutto nel 1948.

Dimentichiamo come ci chiamavate: italijanski palikuce, (italiani bruciatetti) perché eravamo soliti incendiare con i lanciafiamme i tetti delle vostre case per farvi sfollare.

Dimentichiamo le migliaia di partigiani italiani che combatterono nei Balcani con le formazioni di Tito per liberare la Jugoslavia ed anche le migliaia di jugoslavi che si unirono alla Resistenza italiana e liberarono il nostro Paese dai nazifascisti.

Dimentichiamo che nessuno dei 750 criminali di guerra italiani iscritti nelle liste delle Nazioni Unite alla fine della guerra fu mai processato da un tribunale internazionale o nazionale. E che la gran parte di loro venne promossa ai vertici degli apparati di forza della Repubblica in funzione anticomunista; dell’Interno Mario Scelba in Sicilia come capi dell’Ispettorato di Pubblica Sicurezza e coinvolti nelle vicende della strage di Portella della Ginestra del 1 maggio 1947.

Con loro dimentichiamo Giuseppe Pièche, inviato da Mussolini a Spalato per coordinare la polizia politica degli ustascia croati, nel dopoguerra assoldato da Scelba per organizzare strutture di intelligence anticomuniste ed infine coinvolto nell’inchiesta del Golpe Borghese del 1970.

Possiamo, dunque, continuare a perpetrare il falso mito degli «italiani brava gente». e comprende meglio, a posteriori, come i futuri fautori della legge del ricordo del 2004 potessero considerare «umanitari» i bombardamenti su Belgrado nel 1999 . È stato, come vedete, un lungo percorso ma abbiamo lavorato alacremente e continuiamo a farlo.

Cari amici della ex-Jugoslavia, come avrete capito, ci occupiamo soprattutto delle giovani generazioni e lo facciamo per non correre il rischio che imparino la storia. Noi adulti, come vedete, abbiamo già dato.