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I soliti sospetti Zona rossa alla Stazione Termini e nel centrale quartiere Esquilino. Al Quarticciolo, in periferia, arriva il "modello Caivano"

Homeless alla stazione Termini Homeless alla stazione Termini – Andrea Sabbadini

La stazione Termini di Roma e la periferia del Quarticciolo distano chilometri ma si ritrovano accomunate dall’essere terreno di sperimentazione dei provvedimenti securitari del governo Meloni, dal ddl Caivano al decreto Cutro, fino alle zone rosse istituite a colpi di circolari dal ministro Piantedosi.

Il Giubileo ha fornito l’occasione per provare i dispositivi di controllo e repressione impostati dall’esecutivo e sarà probabilmente un anticipo di quello che potrebbe succedere nei centri urbani se venisse approvato il decreto Sicurezza (ddl 1660). La Capitale del 2025 sarà un modello per lo sviluppo del concetto di sicurezza per il resto delle città italiane. Anche se di sviluppo in senso proprio non si può parlare dato che il metodo è sempre lo stesso per destra e sinistra: la militarizzazione del territorio e la profilazione dei poveri.

A POCHI GIORNI dall’entrata in vigore della zona rossa che riguarderà non solo la stazione ma tutto il quartiere Esquilino, Termini ieri era poco affollata. Nel grande atrio, ormai un centro commerciale, non si vedevano guardie. Solo un gazebo dell’esercito con due miliari, l’effetto è più che altro coreografico. Fuori, davanti all’ingresso principale, la presenza delle forze dell’ordine si nota ma, dice un ragazzo che lavora in uno dei tanti ristoranti della stazione, «ci sono da qualche mese».

La polizia fa gruppetto in un angolo, quella municipale anche. Due militari stazionano davanti alla fila per i taxi, altri due fanno avanti e indietro. Per tutta l’ora successiva quello che faranno sarà chiudere e richiudere la porta allarmata aperta per sbaglio dai turisti. Un ragazzo con evidenti segni di disabilità mentale tenta di avvicinarsi a un cestino dei rifiuti, gli fanno cenno di andarsene. All’ingresso dal lato di via Giolitti invece nessun evidente presidio di forze dell’ordine, il via vai è ordinario così come le pressanti richieste dei tassisti abusivi.

Percorrendo la strada fino in fondo si arriva al dormitorio e alla mensa della Caritas. Da lì, e fino all’area intorno al sottopasso di San Lorenzo, si susseguono le tende delle persone che erano state sgomberate da viale Pretoriano e che in teoria avrebbero dovuto trovare accoglienza in una delle tensostrutture previste per il Giubileo. Tutto intorno Termini la varia umanità che circonda ogni stazione. Gruppi di ragazzi, homeless, persone con problemi mentali o vulnerabili, senza tetto in carrozzina. Tutta gente che potrebbe essere oggetto di daspo urbano o allontanata dalla zona rossa che aprirà a giorni se ritenuti molesti o pericolosi.

IL DISPOSITIVO di Piantedosi (che è stato l’estensione di una norma del suo predecessore al Viminale, Minniti), dopo una prima applicazione a Bologna e Firenze, è già in vigore a Milano. Qui è stato oggetto di una forte denuncia da parte della Camera penale cittadina: «La percezione d’insicurezza, vera o presunta, diviene l’occasione per restringere spazi di libertà, allarma il fatto che diritti tutelati a livello costituzionale e convenzionale, quali quelli alla libertà personale (l’allontanamento forzoso la viola senza dubbio) e di movimento, vengano compressi con provvedimenti a categorie impalpabili».

A Roma l’inizio della zona rossa è stato rinviato per consentire altri tavoli tecnici tra prefettura e questura. La vastità dell’area coinvolta nella Capitale deve aver suscitato dubbi sull’applicazione. «Abbiamo allertato le altre associazioni della Rete dell’Esquilino – spiega Giovanna Cavalli che, come legal aid dello Sportello Immigrazione dello spazio sociale Spin Time, va in missione a Termini una volta al mese – vogliamo chiedere conto al Campidoglio e alla prefettura del dispositivo, non si capisce come potrà essere applicato. In base a cosa questa zona viene ritenuta un ricettacolo di criminali? Come viene selezionato chi deve lasciare l’area?». E ancora: «Le forze dell’ordine saranno costrette a fare i buttafuori mandando via persone che sono sospette per il colore della pelle o per una visibile condizione di vulnerabilità». «Hanno deciso che il Giubileo è un’emergenza – nota l’avvocata -, i grandi eventi internazionali si gestiscono sempre con privatizzazione di pezzi di città da parte della polizia e si nascondono i poveri come la polvere sotto il tappeto».

PIETRO DEL COMITATO di quartiere del Quarticciolo, edilizia pubblica a ridosso del Parco di Centocelle: «Ormai è passata l’idea che la gestione dell’ordine pubblico sia la risposta a qualsiasi tipo di problema, dall’accattonaggio alla mancanza di alloggi, dal degrado urbano alla povertà, fino alla salute mentale: tutto nello stesso dispositivo». Il suo quartiere è tra le sei periferie scelte per replicare il modello Caivano. Ci sarà quindi un commissario straordinario che individuerà gli interventi per il territorio. Bypassando realtà del quartiere e lo stesso sindaco Gualtieri. Il comitato ha indetto un’assemblea pubblica per il 18 gennaio. «Il ddl 1660 è ancora in discussione ma il decreto Caivano bis ne anticipa gli strumenti: Quarticciolo non è un deserto, gli abitanti hanno costruito esperienze resistendo all’abbandono istituzionale e alla devastazione della vendita di crack. Meloni fa propaganda».

IL PROVVEDIMENTO porterà anche fondi, quasi 2.500 euro a cittadino: «Neanche nello stato sociale svizzero di una volta – ironizza Pietro -, il rischio è che diventi una mangiatoia a favore dei cacicchi». Dal Quarticciolo chiamano in causa anche Gualtieri: «Mentre la città è aggredita dall’ipertursimo e dalla rendita, permetterà che in periferia la destra faccia deserto delle esperienze sociali e civiche?». Daniele Leppe, avvocato contro gli sfratti: «In tutte le città dove si vuole esportare il modello Caivano o dove si aprono zone rosse ci sono dibattiti in consiglio comunale, nella Capitale tutto tace»