Bolletta di guerra Nonostante il conflitto, i consumi europei nel corso del 2024 sono addirittura aumentati toccando quota 17% di import dalla Russia. In Transnistria restano in funzione solo le attività del settore alimentare per il sostentamento della popolazione
Chiusi definitivamente i rubinetti del gas, proseguono le polemiche. A rincarare le recriminazioni retoriche di Mosca sulla decisione da parte di Kiev di non rinnovare il contratto con Gazprom, e dunque di sospendere le forniture russe attraverso l’ultima conduttura attiva sul territorio ucraino, ci ha pensato ieri la portavoce del ministro degli esteri Maria Zacharova: «È una mossa che diminuisce il potenziale economico dell’Europa e che andrà a intaccare la qualità della vita dei cittadini europei. Dietro la decisione dell’Ucraina ci sono ovviamente gli Usa, principali beneficiari della redistribuzione del mercato energetico sul territorio europeo».
È VERO che, per quanto si trattasse di uno sviluppo atteso da settimane, lo stop drastico del primo gennaio sta causando diverse difficoltà sui mercati e presso alcuni paesi limitrofi al teatro di guerra, come la Moldova. Qui a risentire dell’assenza del gas russo è soprattutto la regione indipendente de facto della Transnistria, che era fortemente dipendente da Mosca e la cui centrale di Kuchurgan produce l’80% dell’elettricità di tutto il paese. Non a caso, la repubblica centro-orientale ha dichiarato lo stato di emergenza lo scorso 19 dicembre per fronteggiare la crisi energetica in arrivo e aveva provato a negoziare con Gazprom il mantenimento della fornitura (la quale, invece che dall’Ucraina, sarebbe potuta passare per il gasdotto di Turkstream). Tuttavia, l’esistenza di un contenzioso di lunga data fra Moldova e Russia rispetto ai debiti accumulati dal 1991 al 2021 per l’approvvigionamento di gas (sarebbero oltre 700milioni di dollari, che però Chisinau riconosce solo in parte) è servita da pretesto a Gazprom per opporre un netto diniego.
COSÌ IN TRANSNISTRIA sono iniziati disagi e carenze energetiche: le autorità locali riferiscono di numerosi edifici senza riscaldamento, abitazioni disconnesse dal sistema e dell’interruzione di diverse attività produttive (sarebbero rimaste in funzione solo quelle legate al settore alimentare, per garantire il sostentamento della popolazione). Inoltre, ieri, anche dodici cittadine sotto il controllo del governo centrale sono rimaste senza gas naturale. Un reportage di Radio Free Europe parla di situazione «non critica» ma riferisce che le persone si stanno adattando a una nuova realtà fatta di maggiori privazioni. Nonostante i rapporti non idilliaci, Chisinau e Tiraspol stanno dunque provando a collaborare per ridurre l’impatto del disaccoppiamento dal gas russo. Le aziende energetiche delle due parti hanno fatto sapere che sono pronte a trovare nuove fonti di approvvigionamento, è già stato effettuato un test per il transito dal Balkan Gas Hub della Bulgaria. La Romania, inoltre, ha annunciato che ci sarebbe il via libera dall’Europa per raddoppiare la quota di import verso la Moldova mentre a Bruxelles si è tenuta una riunione straordinaria del gruppo di coordinamento sul gas, da cui sono arrivate ulteriori rassicurazioni: «Non sussistono difficoltà di approvvigionamento o di sicurezza». Ma la «controffensiva ucraina» sul gas russo potrebbe non limitarsi alla chiusura del gasdotto.
SE L’EUROPA ha effettivamente ridotto la propria dipendenza energetica da Mosca nel corso del guerra, le importazioni di gas liquefatto dalla Federazione sono invece addirittura cresciute nel corso del 2024, toccando la cifra record del 17% sul totale della risorsa. Il ministro degli esteri ucraino Andrii Sybiha l’aveva definita qualche giorno fa una «situazione inaccettabile», chiedendo pubblicamente che si ponesse fine anche a quest’altra forma di sostegno finanziario al paese aggressore. Sullo sfondo, speculazioni e fluttuazioni internazionali: sul mercato di Amsterdam il prezzo del gas naturale si è alzato del 4%, toccando un nuovo picco dallo scorso ottobre.