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Incontro teso a Teheran con l’ambasciatrice italiana: l’Iran lamenta l’arresto di Abedini e si irrigidisce. I genitori di Cecilia Sala chiedono il silenzio stampa. La liberazione della giornalista resta legata a quella dell’ingegnere iraniano. La scelta spetta al governo

L'ultima parola Le lamentele e gli alibi di Teheran con l’ambasciatrice Amadei. «Situazione preoccupante». I timori italiani sulle trattative. Il ricercatore Abedini dal carcere: «Prego per me e per lei». La decisione sui domiciliari il 15 gennaio

Paola Amadei, ambasciatrice italiana a Tehran - Ansa L’ambasciatrice italiana in Iran Paola Amadei – Ansa

L’incontro avvenuto ieri mattina a Teheran tra l’ambasciatrice italiana Paola Amadei e il direttore generale per l’Europa occidentale del ministero degli Esteri dell’Iran Majid Nili Ahmadabadi non viene commentato dalla Farnesina. Solo una voce, informalmente, commenta il resoconto diffuso attraverso l’agenzia di stampa Irna che riporta la sola versione dalla Repubblica Islamica: «Sono le loro posizioni, forti come sono le nostre. È un botta e risposta». È il gioco della reciprocità che caratterizza questa difficile fase della trattativa.

L’IRAN ha convocato Amadei per esprimere le sue rimostranze sul caso dell’arresto in Italia di Mohammed Abedini, senza fare alcun cenno alla situazione di Cecilia Sala, detenuta nel carcere di Evin dal 19 dicembre. Il timore della vigilia è che le «comunicazioni» annunciate fossero la formalizzazione dell’accusa, tanto infondata quanto clamorosa, di spionaggio a carico della reporter. Non è detto, ad ogni modo, che non avverrà in futuro, andando ad alzare la tensione oltre ogni livello di guardia immaginabile. Del resto, come già raccontato dal manifesto, in Iran quello di Sala è definito come un caso di «sicurezza nazionale».

Ma di questo, per fortuna, ieri non si è parlato. Ahmadabadi si sarebbe per così dire limitato a intimare all’Italia di respingere «la politica statunitense di presa di ostaggi iraniani» e rilasci subito il connazionale prigioniero a Opera, arrestato «su richiesta del governo degli Usa e in linea con i suoi comprovati obiettivi politici e ostili di tenere in ostaggio i cittadini iraniani in ogni angolo del mondo imponendo l’attuazione extraterritoriale delle sue leggi». Il rischio, secondo gli iraniani, è che «gli Stati Uniti» danneggino «le relazioni bilaterali tra Teheran e Roma», che in effetti sono sempre state buone. Non solo, il caso Abedini si configurerebbe anche come una violazione dei «principi e degli standard del diritto internazionale, comprese le norme sui diritti umani, e può essere considerato una forma di detenzione arbitraria».

E QUESTA è la botta. Quanto alla risposta, niente di niente. Anche se era inizialmente previsto che la Farnesina rilasciasse una nota ufficiale. La decisione di non farlo è dovuta alla richiesta dei genitori di Cecilia Sala: «silenzio stampa» perché la situazione è «complicata e molto preoccupante» e richiede

«riservatezza e discrezione». Sembra quasi di essere tornati indietro di una settimana, quando la notizia dell’arresto della giornalista non era stata diffusa proprio per agevolare le interlocuzioni con l’Iran. Allora a invocare «riservatezza e discrezione» (esatte parole) era il governo, che nonostante questo non è però riuscito a sbloccare la situazione e continua ad essere in serissima difficoltà.

LA TRATTATIVA per la liberazione di Cecilia Sala passa inevitabilmente per quella che riguarda Mohammed Abedini: i due casi sono in tutta evidenza intrecciati tra loro e almeno Teheran non fa nulla per nasconderlo. La posizione scomoda dell’Italia, in questo contesto, consiste nel fatto che su Abedini pende una richiesta di estradizione degli Stati Uniti. Liberarlo con un atto politico (codice di procedura penale alla mano il ministro Nordio potrebbe farlo quando vuole) vorrebbe dire creare un caso diplomatico con Washington, con tutte le (spiacevoli) conseguenze del caso. È così che, mentre si fronteggiano gli iraniani per Sala, a Roma trattano anche con gli States per il ricercatore 38enne accusato di aver fornito pezzi di droni ai Pasdaran.

COME STIANO andando le cose è difficile da dire, ma di certo c’è un calendario: la situazione non si potrà sbloccare prima del 9 gennaio – quando Joe Biden verrà in Italia e non lo si può accogliere con uno sgarbo tanto grande come il diniego della consegna di un ricercato – e dovrà essere risolta entro il 20 dello stesso mese, quando alla Casa Bianca si insedierà Donald Trump. La prima scadenza è di quelle tassative: dal ministero della Giustizia fanno sapere che nessuna decisione verrà presa prima del pronunciamento della Corte d’appello di Milano sui domiciliari al ricercatore ed è un modo per prendere tempo. L’udienza camerale è fissata al 15 gennaio e la pg Francesca Nanni ha già espresso il suo parere negativo alla scarcerazione. Che la soluzione possa arrivare da lì a cinque giorni però appare molto difficile e all’orizzonte si materializza lo spettro dei tempi lunghi, quasi infiniti, della giustizia e dei suoi ricorsi. Il tutto mentre Sala continuerebbe a essere reclusa a Teheran. Uno scenario da incubo che peraltro metterebbe il governo in seria difficoltà.

INTANTO, ieri Abedini ha ricevuto in carcere la visita del suo avvocato Alfredo De Francesco per la terza volta dal suo arresto. Il colloquio è servito ad aggiornare l’uomo su gli ultimi sviluppi giudiziari del suo caso e per annunciargli che la settimana prossima riceverà la visita dell’ambasciatore iraniano. Su Sala, a quanto riporta De Francesco, Abedini ha detto di star pregando, oltre che per se stesso, anche per lei.