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Punto di svolta La spaccatura nel gruppo europeo sul progetto di riarmo proposto da von der Leyen è netta. Schlein conferma la sua posizione critica, pur mitigata in un’astensione che però non serve a tenere unito il partito

Oltre gli strappi, il Pd va rifatto

Un voto pesantissimo per il Pd a Strasburgo, la spaccatura nel gruppo europeo sul progetto di riarmo proposto da von der Leyen è netta. Schlein conferma la sua posizione critica, pur mitigata in un’astensione che però non serve a tenere unito il partito; la situazione interna è molto complicata.

Eppure la segretaria, questa è la sensazione, può contare su un consenso prevalente tra gli iscritti e nell’opinione pubblica di sinistra. Nella politica italiana anche le situazioni serie diventano occasioni di polemiche miserevoli e la linea di Schlein ha dato la stura al consueto lavorio di logoramento che punta ad etichettare come inadeguata la sua leadership.

Questa situazione, e lo stesso voto a Strasburgo, segnalano ancora una volta come per il Pd si avvicini sempre più il momento delle scelte dirimenti. Nei due anni che ci separano dalle primarie, Schlein e chi la sostiene hanno costruito un nuovo profilo del partito, salvandolo dall’abisso in cui stava precipitando dopo le elezioni del 2022 (e a cui qualcuno lo aveva condotto: si tende un po’ troppo a dimenticarlo…).

Ma si è proceduto a strappi, con alcune campagne-simbolo e con alcune scelte che ora stanno provocando forme di rigetto, o di vero e proprio panico, in quella parte dei gruppi dirigenti che non ha mai fatto i conti con i fallimenti del passato: una di queste scelte è stata lo schieramento a favore dei referendum sul lavoro della Cgil; e ora, questa sul riarmo europeo.

Alcune reazioni, tuttavia, meritano di essere considerate con più attenzione: una è quella espressa da Luigi Zanda, che ha chiesto un «congresso straordinario». Non è chiaro il senso della proposta: stando alle regole attuali, significherebbe rifare le primarie, e non credo proprio che, in questo momento, possa emergere una seria candidatura alternativa, o che sulle questioni di politica internazionale le attuali posizioni della segretaria non riceverebbero un largo consenso. E allora, forse, la chiave è un’altra: «Il Pd avrebbe il dovere, anzi la necessità – dice Zanda – di cambiare lo statuto e decidere una volta per tutte se il segretario lo scelgono gli iscritti, oppure se chiunque possa continuare a andare ai gazebo…». Zanda coglie un problema reale; e ritengo che Schlein debba accettare la sfida: in che modo?

Ci sono due vie: la prima, che ha tempi più lunghi, è quella di una Conferenza d’organizzazione, preparata come si deve, al termine della quale si approvi un nuovo statuto, che riesca a pensare e progettare un nuovo modello di partito; la seconda è quella – a statuto vigente, si noti bene – di utilizzare uno strumento già previsto e mai utilizzato, quello della Conferenza programmatica annuale (ma la si può chiamare anche in altro modo), purché fatta anch’essa come si deve: documenti di base, possibilmente alternativi (non documenti generici in cui ognuno possa leggere quello che più gli piace), discussioni e votazioni nei circoli, assemblea nazionale di delegati. Su due o tre temi-chiave: e uno certamente è quello della situazione internazionale.

Alla base c’è un terzo problema: ci si deve render conto che non sarà sostenibile, a lungo termine, questa doppia fonte di legittimazione (il corpo degli iscritti e quello dei votanti alle primarie, che sono solo in piccola parte sovrapponibili). Oggi gli iscritti non sono rappresentativi della stessa forza elettorale del partito: basti ricordare la distribuzione profondamente squilibrata dal punto di vista territoriale tra i 150mila iscritti che parteciparono alla prima fase del congresso e gli oltre un milione di elettori che hanno votato alle primarie (i quali, peraltro, come mostrano le ricerche sono in gran parte ex-elettori ed ex-iscritti al partito: i famigerati «passanti» che votano ai gazebo sono un’infima minoranza).

A quanto risulta, solo una piccola parte di quanti hanno sostenuto Elly Schlein si è però poi iscritta al partito: perché accade? Perché spesso, localmente, nel suo modo di funzionare il Pd è letteralmente respingente; perché, spesso, sono altri e ben diversi gli incentivi che portano all’iscrizione; e poi, perché, nella migliore delle ipotesi, il partito non è in grado di valorizzare la partecipazione degli iscritti: anzi, sembra proprio non averne bisogno. Per questo, una riforma del partito è oggi essenziale: bisogna ricomporre la frattura tra iscritti ed elettori, e questo lo si può fare solo se si mette in moto un coinvolgimento di massa, che avvii una sorta di progressivo ricambio organico nel corpo del partito stesso.

Discutere, appunto, della situazione internazionale, e farlo in modo diffuso e sistematico, fuori e dentro il partito, potrebbe essere un modo per riattivare una partecipazione oggi silente e far crescere un’elaborazione collettiva di cui si sente un gran bisogno; ma sarebbe anche un modo per porre un freno alle chiacchiere inutili e avere una conferma di quali siano, anche su questo tema, le posizioni davvero prevalenti tra gli iscritti e gli elettori del partito.