Omaggio di Stato Quando sei un capo di stato o di governo, andare al giuramento del presidente degli Stati uniti è tutto tranne che normale. È un affare interno americano, costruito per essere […]
Giorgia Meloni in conferenza stampa – Alessandra Tarantino /Ap
Quando sei un capo di stato o di governo, andare al giuramento del presidente degli Stati uniti è tutto tranne che normale. È un affare interno americano, costruito per essere un affare interno americano.
Viene messo in scena più o meno in questo modo dai tempi di Andrew Jackson (1829), è legalmente codificato dai tempi di McKinkey (1901), si svolge sulla scalinata ovest dei Campidoglio dai tempi di Reagan (1981).
E in questo non irrilevante periodo di tempo, negli archivi del Congresso Usa non c’è traccia di leader istituzionali nazionale andati a rendere omaggio al nuovo titolare dello Studio Ovale, chiunque fosse. Non si deve, non si fa, ci si mandano ambasciatori o figure cerimoniali.
Siccome a Washington farà molto freddo, il prossimo conquistatore della Groenlandia giurerà dentro Capitol Hill invece che sui suoi ventosi scalini, come già fece il secondo Reagan, ma questa avrebbe dovuto essere la sola differenza.
Invece no.
Da oltre 120 anni, il giuramento viene organizzato da due comitati, uno del Congresso e uno del presidente eletto: questo secondo è privato, raccoglie fondi esentasse ed è responsabile degli irrituali inviti a premier, ultradestre e tecno-miliardari vari (vende anche cappellini, tazze e magliette griffate Trump47, e ingaggia i Village People per cantare “Ymca” alla parata – sarà memorabile).
Stavolta Trump avrà qualche governo amico in presenza. E Giorgia Meloni è di gran lunga il nome più pesante di quanti saranno presenti quando giurerà di difendere il suo paese “da ogni nemico interno ed esterno” .
Il suo secondo improvviso viaggio americano non è nemmeno lontanamente ordinaria cortesia istituzionale, né ritrovata centralità nazionale. È anzi una rottura di quella formula, e uno schieramento potente sulla linea atlantica destinato a confliggere con quella europea.
L’ esplicito e noto desiderio della premier è di diventare l’interfaccia europea con gli Stati uniti. L’Italia rischia di trasformarsi invece nel trojan horse statunitense dentro l’Europa.