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L’Unione Europea allarga i suoi confini, per andare dove? Una strada c’è, è quella che dal “20-20-20, tre 20% al 2020” (marzo 2007) ha portato all’Accordo di Parigi (2016) ratificato da oltre 190 Paesi nel mondo. È l’energia delle fonti rinnovabili che apre a un ripensamento globale di economia, lavoro, giustizia sociale, innovazione tecnologica. Vagheggino i “poeti” una “decrescita felice”, qui c’è da por mano a nuova industria, a materiali, sistemi e processi intelligenti, a consenso e coesione sociale. Procedendo con la “cooperazione rafforzata” per non farsi intralciare da qualche “rigoroso” vichingo e, soprattutto, dai Paesi fulminati dal comunismo reale, che oggi fanno sembrare “avanzata” l’America della Corte suprema. La competizione sul futuro, che la Ue susciterà in tutto il mondo, sarà quella che sottrarrà la politica dal confronto metafisico tra Usa e Cina su chi controllerà il mondo vecchio (e bacucco)

SETTE PAGINETTE BUROCRATICHE, forse non potevano che essere così, quelle rappresentative delle decisioni del Consiglio d’Europa del 23-24 giugno scorsi [leggi qui]. La cosa nuova è l’estensione della Unione Europea riguardo ai suoi futuri confini: concessione dello status di candidato a Ucraina e Moldova, ma poi Stati balcanici, Macedonia del Nord, Bosnia-Erzegovina, Georgia. Tutti insieme appassionatamente. La Croazia sarà socia dell’euro dal 1° gennaio 2023. Sulla guerra della Russia contro l’Ucraina, ribadite le posizioni già note, inclusa la «assistenza macro-finanziaria straordinaria» fino a 9 miliardi di euro. E sull’aumento dei prezzi dell’energia, viene «compresa la fattibilità dell’introduzione di tetti temporanei ai prezzi all’importazione, se del caso».

Emmanuel Macron, Olaf Scholz e Mario Draghi fra le macerie di Kharkiv

Insomma, come già nella visita a Kiev di Macron, Scholtz e Draghi, la politica della Ue, a parte la questione delle nuove adesioni, “interna” almeno si spera, è un allineamento alla Nato, cioè all’America. Non un guizzo nell’elettro encefalo gramma, se non quel “price cap” sul gas, ripetutamente richiesto da Draghi, ma concesso «se del caso», per non urtare magari la suscettibilità di quei “rigorosi” che se la stanno facendo sotto di fronte al bluff putiniano, se non di lasciare tutti senza gas, di ulteriori e più drastici tagli.

Allora, pigliamola da qui. I prezzi dell’energia nella Ue sono un fattore fondamentale dell’inflazione e dello spread, determinante un impatto globale, anche sull’economia degli Usa, visto che riguardano la più importante area economica del mondo. Un tetto al prezzo del gas, al di là delle nobili considerazioni sul contraccolpo per la Russia, che stranamente vengono in questo caso taciute, dà alla Ue fiato “programmatico” e tempo, e la possibilità di misurarsi la palla sul futuro globale che vogliamo. Anche, ma questo è banale, rispetto al corso della guerra e alla necessità di modificare i provvedimenti tipo “recovery fund” — e annessi Pnrr — o interventi della Banca centrale, che dipendono drasticamente dalla durata della guerra.

Con il dramma mondiale della siccità e della disponibilità d’acqua dolce siamo entrati in un tunnel nel quale né ritardi né errori sono più consentiti. E le carte si giocano nei prossimi pochi anni, altro che 2030!

Ora, basta guardare ai dati che evidenziano il dramma mondiale della siccità e della disponibilità d’acqua dolce, per capire — i cretini o in malafede, spesso tutt’e due, lasciamoli a casa loro — che siamo entrati in un tunnel nel quale né ritardi né errori sono più consentiti. E le carte si giocano — ma quale 2030! – nei prossimi pochi anni. 

Come fa la Ue, che non trova la sua dimensione politica, la volontà di “essere uno”, che delega le questioni scottanti all’America — prima poteva essere da “furbi”, proseguire così sarebbe un suicidio — e che continua a fare passi solo verso un allargamento che potrebbe risultare del tutto futile? Il peso degli imperucci più o meno coloniali, degli interessi nazionali, da difendere “se no i sovranisti”, hanno rallentato il percorso unitario, hanno abortito colossali progetti, soprattutto nell’area Mena (Medio Oriente e Nord Africa), nanizzati con una delega di fatto a compagnie pubbliche o aziende private, difese, non sempre, da qualche esercito neocoloniale 

L’energia delle fonti rinnovabili ci obbliga a por mano con molto maggior forza e determinazione a nuova industria, a materiali, sistemi e processi intelligenti, a consenso e coesione sociale

No, non è questa la strada. Ce ne è però una, magari considerata “non politica” da chi se ne intende, nella quale invece la Ue ha fatto da apripista. Unitariamente e con rilevanti successi. Quella che da “20-20-20, tre 20% al 2020” — Consiglio d’Europa, giustappunto, del marzo 2007 — ha portato all’Accordo di Parigi (2016) ratificato da oltre 190 Paesi nel mondo. È l’energia delle fonti rinnovabili che apre a un ripensamento globale di economia, lavoro, giustizia sociale, innovazione tecnologica. Vagheggino i “poeti” una “decrescita felice”, qui c’è da por mano con molto maggior forza e determinazione a nuova industria, a materiali, sistemi e processi intelligenti, a consenso e coesione sociale per soluzioni che non obblighino a scoprire periodicamente che “siamo più avanti di quel che pensavamo”.

Il cardine di questo “New World” è la Ue. Proceda con coraggio su quella che ha mostrato essere la sua vocazione vincente, che sarà vincente per tutta l’umanità. O questa umanità la vogliamo lasciare tutta, e sola, a Bergoglio? E mentre controlla le carte in regola per nuove adesioni, ma con la mano sinistra, la Ue proceda a tappe forzate con la cooperazione rafforzata, con tutti gli strumenti che si potrà dare per non farsi intralciare da qualche bravo, ma “rigoroso”, vichingo e, soprattutto, dai Paesi fulminati dal comunismo reale, che oggi fanno sembrare “avanzata” l’America della Corte suprema. E la competizione sul futuro, che la Ue susciterà in tutto il mondo, sarà allora quella che sottrarrà la politica dal confronto metafisico tra Usa e Cina su chi controllerà il mondo.

Questo è il destino dell’Europa, chi indugia nelle analisi politiche “pure” sta giocando su un altro campo. Quello dell’irrilevanza. Aiutiamo in tutti i modi in cui possiamo la nostra Europa a imboccare il suo destino©

Scienziato e politico, è stato leader del movimento antinucleare e tra i fondatori di Legambiente e dei Verdi. Fu primo firmatario, insieme ad Alex Langer, dell’appello che nell’autunno 1984 portò alla costituzione nazionale di Liste Verdi per le amministrative del 1985. Eletto alla Camera per i Verdi (1987-2001) ha portato a compimento la chiusura del nucleare, le leggi su rinnovabili e risparmio energetico, la legge sul bando dell’amianto. È stato presidente delle due prime Commissioni d’inchiesta sui rifiuti (“Ecomafie”), che hanno indagato sui traffici illeciti internazionali, sulla waste connection (assassinio di Ilaria Alpi e di Miran Hrovatin) e sulla gestione delle scorie nucleari. Ha per anni proposto insieme ai Verdi i cardini e le azioni della Green Economy; e ha continuato le battaglie ambientaliste a fianco della ribellione di Scanzano (2003) e contro la centrale di Porto Tolle e il carbone dell’Enel (2011-14). Co-presidente del Decennio per l’Educazione allo Sviluppo Sostenibile dell’Unesco (2005-14). Tra i padri dell’ambientalismo scientifico ha prodotto (2020) un modello teorico di “stato stazionario globale”, reperibile, insieme a molte altre pubblicazioni scientifiche, su https://www.researchgate.net/profile/Massimo-Scalia