IL VOTO DEL 2024. Le elezioni per il Parlamento europeo sono tra un anno, con il conseguente rinnovo delle alte cariche nella Ue. Anche se non c’è ancora neppure la data ufficiale del voto […]
Le elezioni per il Parlamento europeo sono tra un anno, con il conseguente rinnovo delle alte cariche nella Ue. Anche se non c’è ancora neppure la data ufficiale del voto – la proposta è tra il 9 e il 12 giugno 2024, ma il Portogallo protesta perché il 10 è festa nazionale e teme una forte astensione – le grandi manovre più o meno sotterranee sono già iniziate.
Il meccanismo dello Spitzenkandidat (indicazione del candidato da parte dei vari gruppi politici prima del voto) per il momento resta nel cassetto e difficilmente verrà resuscitato vista la crescente frammentazione politica a Strasburgo, ma quello che è certo è che sarà il gruppo politico arrivato in testa ad avere la Commissione, per il Trattato di Lisbona il Consiglio deve «tener conto» dei risultati elettorali e poi ci vuole l’approvazione dell’Europarlamento. L’attuale presidente, Ursula von der Leyen (nominata nel 2019 senza essere passata per l’elezione a europarlamentare, travolgendo l’ipotesi dello Spitzenkandidat) non ha confermato di volere un secondo mandato, se ne saprà di più dopo il vertice Nato di Vilnius a luglio, visto che il nome dell’ex ministra della Difesa tedesca è anche in corsa per la successione di Jens Stoltenberg. Von der Leyen è della Cdu (Ppe), c’è chi la spinge a presentarsi al voto in Bassa Sassonia, ma per il momento a sostenerla sono più i leader europei appartenenti ad altri partiti (Scholz dell’Spd, Macron di Renew) che quelli del gruppo Ppe.
Il panorama politico europeo è sempre più frammentato, l’estrema destra è in crescita, l’egemonia Ppe-S&D è un ricordo del passato, i socialisti sono in crisi in molti paesi.
Il Ppe è al centro di grandi manovre. In nessuno dei paesi fondatori c’è un governo a guida Ppe e i cristiano-democratici, da sempre il primo gruppo a Strasburgo, temono di perdere terreno. Obtorto collo hanno allontanato il Fidesz di Orbán nel marzo 2021. Poiché sembra sbiadire l’ipotesi di una fusione tra i due gruppi di estrema destra, Conservatori e Riformisti Europei (in Ecr ci sono i polacchi del Pis e Fratelli d’Italia) e Identità e Democrazia (in Id invece la Lega e i francesi del Rassemblement national), da mesi è in corso un movimento di avvicinamento tra Ppe e Ecr, alla manovra il capogruppo Ppe, Manfred Weber (Csu bavarese) e Giorgia Meloni, mediatore Raffaele Fitto ex Forza Italia (partito Ppe). Una fusione Ppe-Ecr non piace però alla Cdu tedesca ed è per ora bloccata dalla Piattaforma civica di Donald Tusk, che è uno dei due partiti polacchi nel Ppe e che rifiuta un accordo con il Pis (ma le elezioni a ottobre potrebbero cambiare lo scenario).
In molti altri paesi l’intesa tra Ppe e estrema destra è già in corso: «Abbiamo idee vicine a Meloni» ha affermato il primo ministro ceco Petr Fiala nell’accogliere Meloni a Praga, dove nella coalizione di governo Spolu partecipano anche partiti affiliati al Ppe e a Ecr e Weber preme per avere l’Ods di Fiala nel Ppe per le europee del 2024.
Accordi tra destra e estrema destra crescono in Europa, l’ultimo caso in Svezia. In Spagna, dove ci saranno elezioni a fine anno, ci sono accordi a livello locale tra Partido popular (Ppe) e l’ultradestra di Vox (Ecr). In Grecia, Nuova Democrazia di Mitsotakis (Ppe) pensa alla possibilità di un accordo con i populisti di Elliniki Lisy (Ecr) dopo le prossime elezioni. In Portogallo cresce l’estrema destra di Chega. L’alleanza tra la destra democristiana e i nazionalisti ha già permesso nel gennaio 2022 l’elezione dell’attuale presidente dell’Europarlamento, la maltese Roberta Metsola. In Francia, il partito di Macron sta già giocando la sola carta che ha in mano: l’europeismo (con un voto sull’obbligo della bandiera Ue nei municipi, ha spaccato la Nupes).