Accedi Registrati

Login to your account

Username *
Password *
Remember Me

Create an account

Fields marked with an asterisk (*) are required.
Name *
Username *
Password *
Verify password *
Email *
Verify email *

Invado avanti Il Famine Review Committee lancia l’allarme. Per Israele gli aiuti a Gaza sono sufficienti. Il Qatar sospende la sua mediazione per la tregua e chiude l’ufficio di Hamas. Tel Aviv festeggia

Palestinesi in fila per un pasto a Rafah foto di Fatima Shbair/Ap Palestinesi in fila per un pasto a Rafah  – Fatima Shbair/Ap

«Non riuscivo a credere ai miei occhi. Tra i corpi senza vita  portati all’ospedale dopo il bombardamento israeliano c’era anche Ibrahim, mio figlio». Il dottor Hussam Abu Safiya parla con la voce rotta da emozione e stanchezza. «È un dolore immenso – dice – quello che prova ogni padre davanti al figlio morto. In questa situazione, mia moglie ed io abbiamo dovuto contenere la pena che provavamo, abbiamo pregato per Ibrahim, poi l’abbiamo seppellito a poca distanza dall’ospedale. Quindi sono tornato al lavoro, ad assistere feriti e ammalati e a seguire i lavori di riparazione dell’ospedale che cerchiamo di mantenere operativo». Da settimane il medico palestinese è la voce dell’ospedale Kamal Adwan, di cui è direttore, e di fatto del nord di Gaza sotto i bombardamenti israeliani che avrebbero fatto oltre mille morti e costretto a scappare quasi tutta la popolazione civile. Ieri invece ha raccontato il suo dramma, comune a quello di migliaia di famiglie di Gaza che hanno perduto genitori, figli, bambini piccoli.

Nelle stesse ore in cui una bomba uccideva Ibrahim Abu Safiya, a Tuffah (Gaza city), un missile sganciato da un aereo israeliano contro la scuola Fahd Al Sabah ha messo fine alla vita e al desiderio di Zahra Abu Sakheil, 23 anni, e di suo fratello Ahmad, 22, di continuare il lavoro di giornalista che tanto amavano. L’esplosione li ha uccisi all’istante assieme al padre e altri tre palestinesi. I colleghi ricordano che Zahra e Ahmed spesso andavano in giro insieme. Lei raccontava le storie degli sfollati nelle tendopoli, nei rifugi e nelle scuole. A Gaza due giorni fa era rimasto ucciso un altro giornalista, Khaled Abu Zir, redattore di una radio locale. Secondo i dati del Sindacato dei giornalisti, sono almeno 186 gli operatori dell’informazione uccisi a Gaza.

Il bilancio di palestinesi uccisi dall’offensiva israeliana è stato aggiornato a 43.552, di cui 44 tra venerdì e sabato. Nella scuola Fahd Al Sabah di Tuffah i morti sono stati 14, decine di feriti. In visita alle truppe in ciò che resta del campo profughi di Jabaliya, il capo di stato maggiore israeliano Herzi Halevi ha detto che i suoi soldati stanno inviando ad Hamas un messaggio molto chiaro. «L’esercito non si stanca. Il fatto che stia concludendo tre settimane qui con circa 1.000 terroristi uccisi e altri 1.000 catturati è un risultato significativo che infligge un duro colpo ad Hamas. Non ci fermeremo né rallenteremo». Numeri che è impossibile verificare. Di sicuro c’è che il nord di Gaza è sempre più vuoto. Non è chiaro quante persone siano rimaste in quella parte della Striscia. Inizialmente l’Onu stimava che ci fossero circa 400.000 civili. Ora sarebbero alcune decine di migliaia. I filmati sui social mostrano ondate di sfollati stanchi con bambini che camminano verso sud, verso la presunta «area sicura» di Mawasi, tra le macerie. Molti non mangiano da giorni e hanno poca acqua.

Israele ha tagliato in tre parti di Gaza. All’inizio di quest’anno ha creato il cosiddetto corridoio Netzarim, separando il nord e quella che un tempo era la densamente popolata Gaza City dal resto della Striscia. Poi ha alzato terrapieni e distrutto edifici a nord del capoluogo, lungo una linea orizzontale da est al mare, isolando Jabaliya, Beit Lahiya, Beit Hanoun e il resto del territorio settentrionale. Un funzionario dell’Onu ha descritto la situazione: «un assedio nell’assedio». È evidente l’intenzione di creare in quella parte una ampia «zona cuscinetto» controllata da Israele e in cui, malgrado le smentite, potrebbero insediarsi coloni. Così i movimenti degli oltre due milioni di civili palestinesi verrebbero ridotti al minimo: per loro si annunciano anni in condizioni di vita spaventose in appena 200 chilometri quadrati.

Torna lo spettro della carestia. Il Famine Review Committee (Frc) – parte della Integrated Food Security Phase Classification, che comprende 15 organizzazioni dell’Onu e ong che monitorano la sicurezza alimentare nel mondo – ha definito la situazione nel nord della Striscia «estremamente grave e in rapido deterioramento» e ha chiesto a tutte le parti di agire «entro giorni, non settimane» per evitare un disastro. Il rapporto punta l’indice contro Israele per l’assedio del nord di Gaza e gli ordini di evacuazione dell’intera popolazione. Tel Aviv ha respinto il rapporto e nega che l’ingresso di generi di prima necessità sia drasticamente calato nelle ultime settimane. Afferma di aver fatto passare tre giorni fa una dozzina di camion diretti a Jabaliya e Beit Hanoun.

Il governo Netanyahu festeggia un nuovo traguardo ottenuto grazie alle pressioni degli Stati uniti. Il Qatar ha annunciato il suo ritiro dalla mediazione per un cessate il fuoco a Gaza e, in questo quadro, ha stabilito che l’ufficio di Hamas a Doha «non serve più a nessuno scopo». In poche parole, il Qatar ha deciso di espellere la leadership del movimento islamico da anni sotto la sua protezione. Hamas nega di aver ricevuto l’ordine di lasciare il paese del Golfo.