Un articolo (apparso sul Manifesto del 7/11/2017) di Andrea Pritoni e Marco Valbruzzi analizza il fenomeno dell'astensionismo nelle recenti elezioni siciliane e ad Ostia. I due ricercatori, collaboratori, fra l'altro, dell''Istituto Cattaneo che ha pubblicato una prima indagine sui flussi elettorali nelle elezioni siciliane, osservano che ".... esiste una possibilità concreta per recuperare voti ed elettori, anche all’interno di quell’area dell’astensione che è tutt’altro che monolitica e irraggiungibile. Questa possibilità richiede, però, un recupero vero, non solo episodico o tattico, del rapporto col territorio. Un rapporto, peraltro, che necessita di essere coltivato nel tempo, che presuppone la conoscenza dei problemi e delle paure dei cittadini e che, soprattutto, sia in grado di offrire soluzioni e risposte efficaci alle loro questioni quotidiane. ...". Tuttavia ci mettono in guardia rispetto ad un troppo facile ottimismo, perché se è vero che "... l'area dell'astensione è tutt'altro che monolitica e irraggiungibile. ...", non esistono però "soluzioni semplici né, per così dire, “a pronta presa”. Servono un progetto a lunga scadenza, un impegno organizzativo sul territorio e, infine, un’agenda politica che torni a mettere al centro del dibattitto le questioni sociali concrete per i cittadini. ...".
Credo che si possa affermare che nella nostra città si sono mossi in questa direzione, con buoni risultati, il progetto e l'esperienza politica de "L'Altra Faenza" ed è anche la strada che sembrano indicare numerosi esponenti nazionali e romagnoli di Art.1 Mdp. Un lavoro di lunga lena, che deve essere paziente ma che è urgente iniziare dappertutto, perché, come ricordano Pritoni e Valbruzzi, gli spazi per "invertire la rotta" in tema di astensionismo ci sono ma sono "sempre più ridotti".
Alessandro Messina
da "il Manifesto" del 7/11/2017
L’area del non voto cresce, ma non è granitica
di Andrea Pritoni, Marco ValbruzziC’è un dato ormai consolidato che emerge anche dall’analisi delle elezioni regionali siciliane: l’astensione è sempre più una variabile cruciale per interpretare e spiegare il comportamento elettorale degli italiani. Dietro l’astensionismo non si nascondono soltanto – sotto diverse maschere – il distacco disinteressato e la protesta incessante e testarda. Dentro il variopinto partito dell’astensione si trovano anche elettori tiepidi, intermittenti che, sulla base della proposta politica e delle loro incerte motivazioni, possono decidere di recarsi alle urne e determinare così, spesso, l’esito delle elezioni.
Nel caso delle elezioni regionali in Sicilia erano stati in tanti, soprattutto tra i dirigenti del Movimento 5 stelle e della sinistra a sostegno di Fava, a scommettere su una ripresa della partecipazione elettorale. Purtroppo, nonostante gli sforzi e i pur lodevoli tentativi di campaigning locale, la scommessa della partecipazione siciliana si è rivelata una partita persa. Infatti, al di là di alcune province (Catania, Messina e Palermo, in quest’ordine) dove l’astensione è stata minore rispetto a cinque anni fa, l’affluenza in Sicilia non ha mostrato alcuna inversione di tendenza. Anzi, pur in un contesto di sostanziale stabilità (dal 47,4% del 2012 al 46,8% del 2017), essa si è ridotta ulteriormente, restando dunque ben al di sotto del 50%.
Da questo punto di vista, è inoltre interessante rilevare come – tra i comuni capoluogo – quello in cui l’affluenza è diminuita in misura più marcata sia proprio l’unico amministrato dal Movimento 5 stelle: Ragusa. In tal caso, dunque, i cinquestelle parrebbero aver mancato il loro tradizionale obiettivo politico di fungere da argine all’astensionismo. Al contrario, la persistente disaffezione dell’elettorato siciliano sembra ora investire tanto i partiti tradizionali, quanto il movimento grillino.
Se in Sicilia le perdite verso l’astensione sono state assai contenute, nel caso del Municipio X di Roma – chiamato al voto dopo due anni di commissariamento e uno scioglimento per infiltrazioni mafiose – la partecipazione elettorale è crollata di 20 punti percentuali. Un tracollo del quale hanno beneficiato, ancora una volta, i partiti o movimenti con un maggiore radicamento territoriale, che hanno più forze e più risorse per fare una campagna elettorale porta-a-porta, o quartiere per quartiere, e che continuano a conservare la loro presenza nelle cosiddette periferie, del tutto abbandonate dai partiti tradizionali.
Pur nel generale crollo dell’affluenza, la destra estremista di CasaPound ha triplicato i suoi voti rispetto al 2016, diventando in pratica la quarta forza politica del territorio. Ma anche la sinistra più o meno movimentista o civica, rappresentata formalmente da Eugenio Bellomo e, in modo molto più informale, dal civisimo del “prete rosso” Franco De Donno, ha raddoppiato i suoi voti, dimostrando così che esiste una possibilità concreta per recuperare voti ed elettori, anche all’interno di quell’area dell’astensione che è tutt’altro che monolitica e irraggiungibile. Questa possibilità richiede, però, un recupero vero, non solo episodico o tattico, del rapporto col territorio. Un rapporto, peraltro, che necessita di essere coltivato nel tempo, che presuppone la conoscenza dei problemi e delle paure dei cittadini e che, soprattutto, sia in grado di offrire soluzioni e risposte efficaci alle loro questioni quotidiane.
Se c’è dunque una lezione da trarre, in termini di astensionismo, da questa tornata elettorale, è che l’area del non-voto, per quanto preoccupantemente crescente nel nostro paese, è tutt’altro che granitica o monolitica. Ci sono, anche se sempre più ridotti, spazi per invertire la rotta e riportare la gente alle urne. Ma non esistono soluzioni semplici né, per così dire, “a pronta presa”. Servono un progetto a lunga scadenza, un impegno organizzativo sul territorio e, infine, un’agenda politica che torni a mettere al centro del dibattitto le questioni sociali concrete per i cittadini. Di fronte a queste condizioni, anche il più fedele degli astensionisti potrebbe vacillare.