A piccole dosi. Allerta sanitaria nella Striscia: Israele e Hamas accettano un accordo che permetterà per 7 giorni di vaccinare i bambini gazawi
L’esercito israeliano al campo di Nur Shams foto di M.Mohammed/Ap
La paura di un’epidemia di poliomielite a Gaza è più forte della puzza dei 40mila cadaveri lasciati a terra da 11 mesi di invasione israeliana nella Striscia. O forse si è trattato solo delle pressioni degli Stati Uniti che si sono trincerati in un silenzio assordante dopo gli assalti delle forze israeliane in Cisgiordania degli ultimi due giorni. Ma la questione avanzata da molti media arabi pende sui buoni propositi occidentali come una mannaia: a cosa serve parlare di pausa umanitaria circoscritta se poi quegli stessi bambini vaccinati rischiano di morire un istante dopo sotto le bombe delle forze armate israeliane?
Nel corso del vertice diplomatico di Doha per un cessate il fuoco che si è rivelato, ancora una volta, fallimentare, si è diffusa la notizia che: «l’Onu si sta preparando a vaccinare circa 640mila bambini sotto i 10 anni a Gaza , dopo che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato che un bambino di 10 mesi è stato paralizzato dal poliovirus di tipo 2, il primo caso del genere nel territorio in 25 anni». Si dovrebbe trattare di 7 giorni di tregua parziale, circoscritta alle aree dove l’Oms porterà le dosi di vaccino da somministrare ai bambini gazawi. Intorno, la guerra che «ormai non ha lasciato nessuna area sicura» come ha dichiarato l’Onu nei giorni scorsi, continuerà.
L’OMS HA DICHIARATO di aver ottenuto «l’impegno preliminare per una pausa umanitaria in aree delimitate» da parte di Israele, notizia confermata dal canale tv Channel 13 di Tel Aviv. Anche Hamas avrebbe già accettato in via preliminare l’accordo. I funzionari egiziani e statunitensi a conoscenza della questione, tuttavia, hanno sottolineato che il patto non riguarda i negoziati in corso e che sarà circoscritto all’attuazione delle misure di profilassi sanitaria. Il premier israeliano, Benyamin Netanyahu, sarebbe stato convinto dal Segretario di Stato Usa, Antony Blinken, durante la visita di quest’ultimo in Israele, la scorsa settimana. Netanyahu avrebbe dato il suo beneplacito consultando solo i comandanti dei servizi di sicurezza ma non i ministri competenti. Il che confermerebbe ancora una volta l’impostazione del tutto verticistica che il premier ha adottato dopo i fatti del 7 ottobre 2023. Il 30 luglio scorso il ministro della Salute di Gaza aveva dichiarato il territorio palestinese una «zona di epidemia poliomielitica» annunciando la riapparizione del virus in seguito alla distruzione delle infrastrutture civili (in particolare le fogne e le condutture dell’acqua) e sanitarie a Gaza.
ANCHE L’UNIONE EUROPEA, in concomitanza con il Consiglio informale dei ministri degli Esteri a Bruxelles, ha chiesto una «pausa umanitaria immediata» in quanto «è estremamente allarmante che il poliovirus sia stato riscontrato a Gaza e il primo caso sia già confermato». L’Ue ha insistito sull’importanza dell’apertura del governo israeliano a una collaborazione con l’Oms, l’Unrwa e l’Unicef.
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È significativo notare che il primo caso di contagio si è registrato a Deir el-Balah, nell’area scelta da Medici senza frontiere per la costruzione di un nuovo ospedale da campo dopo che l’esercito israeliano ha ordinato l’evacuazione forzata di 650 pazienti dall’ospedale Al-Aqsa. La struttura d’emergenza, che avrebbe dovuto iniziare a fornire assistenza sanitaria a fine settembre, è già diventata il rifugio per centinaia di pazienti. Le condizioni igieniche – spiegano da Msf – unite alla malnutrizione, all’assenza di medicinali a causa dell’embargo imposto dalle autorità di Tel Aviv al passaggio di aiuti umanitari e medici al valico di Rafah e alla carenza d’acqua potabile rischiano di essere terreno fertile per le epidemie.
SE TUTTE LE PREMESSE della vigilia dovessero essere confermate, la via per un cessate il fuoco effettivo a Gaza al momento rimane comunque un campo minato. Ora si apprende i colloqui a Doha «avevano lo scopo di avvicinare le parti su questioni tecniche» e che nei prossimi giorni i mediatori, Usa in testa, «presenteranno una nuova proposta» che tenti di superare l’ostruzionismo israeliano sui corridori Philadelphi (confine Gaza-Egitto) e Netzarim (che taglia la Striscia al centro) e di ridimensionare le richieste di Hamas per un ritiro immediato dell’esercito israeliano. Da Pechino, il consigliere per la sicurezza nazionale degli Usa, Jake Sullivan, ha parlato di «progressi» nel negoziato, ma si è rifiutato di commentare le operazioni israeliane in Cisgiordania. Gli Usa sono il principale partner militare di Israele e, nonostante le voci di malumori all’interno dell’amministrazione Biden per l’esponenziale aumento della violenza delle azioni israeliane, continuano a fornire armi a Tel Aviv e hanno più volte dichiarato che «qualsiasi attacco contro Israele porterà alla risposta militare delle forze statunitensi».
STAVOLTA sono stati costretti a prendere parola anche i politici europei, incalzati dalle dichiarazioni dell’Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione, Josep Borrell, che ha paventato l’ipotesi di sanzionare i ministri israeliani che «lanciano inaccettabili messaggi d’odio contro i palestinesi e propongono misure che violano chiaramente il diritto internazionale». Prima di Borrel si era espressa la vice-primo ministro belga, Petra De Sutter, che aveva dichiarato di «appoggiare pienamente» sanzioni contro i ministri israeliani Ben-Gvir e Smotrich, che si erano spinti fino a invocare la cacciata dei palestinesi e l’insediamento coatto di coloni israeliani in Cisgiordania. D’accordo l’Irlanda che, tramite il ministro degli Esteri Martin ha dichiarato non solo di appoggiare le sanzioni ma di ritenere necessario «riconsiderare i rapporti commerciali con Israele finché durerà la guerra a Gaza».
Francia e Gran Bretagna si sono limitate a ribadire «la richiesta per un cessate il fuoco», mentre la Germania si è detta «molto preoccupata» per le«crescenti violenze, il numero di civili uccisi e l’estensione delle violazioni del diritto internazionale» in Cisgiordania. Tra le frasi che hanno generato l’indignazione internazionale spicca quella del ministro della sicurezza nazionale Ben-Gvir «il nostro diritto di trasferirci in Cisgiordania supera quello dei palestinesi che vivono lì» e del ministro degli Affari Esteri Katz, per il quale «non è da escludere una riallocazione temporanea dei palestinesi fuori dalla Cisgiordania». Il Segretario Generale dell’Onu si è detto «estremamente preoccupato per le azioni israeliane che stanno contribuendo all’instabilità della regione e a minare l’Anp».
MENTRE LE PRESSIONI sembrano ancora una volta cadere nel nulla, a Gaza si continua a morire. Nella sola giornata di ieri almeno 30 persone sono state uccise dall’esercito israeliano tanto da spingere Sigrid Kaag, coordinatrice dell’Onu per gli aiuti umanitari e la ricostruzione per Gaza, a definire la situazione «una tragedia umanitaria di proporzioni senza precedenti, con una mole di distruzione e sofferenza umana che non abbiamo visto nel 21° secolo di queste dimensioni»