MIGRAZIONI. Nel decreto dello scorso maggio la definizione segue una logica singolare
La presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni e la ex premier del Bagladeshn Sheik Hasina in un incontro del luglio 2023 a palazzo Chigi - Ansa
Dopo 15 anni al potere e lasciandosi alle spalle almeno 300 manifestanti uccisi e 11mila arrestati nelle proteste contro il suo governo, la ormai ex premier del Bangladesh Sheik Hasina è fuggita in India dove potrebbe chiedere asilo, dice la Cnn. Se per assurdo lo facesse in Italia, la sua domanda sarebbe sottoposta a una «procedura accelerata». Dal 7 maggio di quest’anno, infatti, il Bangladesh è inserito tra i paesi di origine «sicuri».
Per i concittadini di Hasina, in pratica, l’iter per l’asilo segue un esame meno accurato, con tempistiche più rapide, in cui vale un ribaltamento dell’onere della prova: solo il richiedente, senza supporto della commissione, deve dimostrare la necessità che venga protetto. In base al dl Cutro, poi, queste persone possono essere detenute durante la procedura. Quelle salvate in alto mare rischiano di finire nei centri in Albania.
La prima lista di questo tipo è stata redatta in Italia nel 2018, da un decreto dell’allora ministro dell’Interno Salvini. Con il provvedimento del maggio scorso i «paesi sicuri» sono passati in un colpo da 16 a 22. Insieme al Bangladesh troviamo, tra gli altri, il Camerun – in cui lo stesso presidente governa dal 1982 – l’Egitto di Al Sisi o la Tunisia di Saied.
Questo nonostante la norma, che recepisce la direttiva procedure dell’Ue, stabilisca che uno Stato terzo può essere considerato sicuro non solo se sono assenti persecuzioni, torture, trattamenti inumani o degradanti, violenze indiscriminate o conflitti armati, ma anche se sono rispettate le principali convenzioni internazionali a tutela dei diritti fondamentali e se esiste un sistema di ricorsi effettivi contro le violazioni. In pratica: uno Stato è sicuro soltanto se vale lo Stato di diritto.
LA REDAZIONE CONSIGLIA:
Secondo il governo anche Egitto e Bangladesh sono paesi sicuri
Sul sito dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) si può leggere la scheda-paese alla base del giudizio sul Bangladesh. Si parla di scarsa indipendenza della magistratura, crescente autoritarismo, sparizioni forzate, esecuzioni extragiudiziali, torture, repressione delle opposizioni.
Perché, allora, la definizione di «sicuro»? Il ragionamento del governo italiano è singolare: gli oppositori politici fuggono prevalentemente nei paesi vicini, mentre i migranti che arrivano in Italia sono di carattere economico. È vero che, secondo l’Agenzia europea per l’asilo, nell’Ue il tasso di ottenimento della protezione tra i bangladesi è di circa il 4%, ma la legge italiana non fa riferimenti alla valutazione dei flussi migratori, parla solo della situazione dei paesi di origine.
«I bangladesi sono il gruppo nazionale più numeroso negli sbarchi di clandestini nel Mediterraneo, nei richiedenti asilo in Italia e nei beneficiari di nulla osta per lavoro subordinato», dice la scheda. Se fosse questo il vero criterio, o comunque la principale preoccupazione, alla base dell’inserimento nella lista non avrebbe nulla a che fare con il dettato giuridico