VERSO IL CONSIGLIO UE. La premier in Senato strapazza Salvini (assente in aula) senza smentirlo apertamente: «Voto farsa nei territori occupati». Il riarmo è la stella polare, a farne le spese saranno il welfare e il Green Deal
Comunicazioni in senato della premier Giorgia Meloni sul prossimo Consiglio europeo - LaPresse
Il modello della premier è sempre uguale: diplomatica e ragionevole nella relazione informativa iniziale, rissosa e irridente nella replica. Nell’informativa al Senato in vista del prossimo Consiglio europeo non si smentisce.
Nella replica la premier se la prende soprattutto con Giuseppe Conte. Distribuisce sganassoni un po’ su tutto ma in particolare sul chiedere la trattativa con la Russia senza dire su cosa trattare. Salvo il consiglio a Zelensky di smettere la divisa per adottare abiti civili, ovvio per chi «confondeva il governo con la pochette». Non è solo teatro. È una strada per dire forte e chiaro quel che la premier pensa: «Chiedere di trattare lasciando alla Russia i territori che ha occupato significa chiedere la resa e chi dice che le armi inviate sono state inutili dimentica che Putin pensava a una guerra lampo invece combatte da due anni e l’idea di occupare Kiev è ormai fuori dai radar».
In un caso però la premier se la prende anche con il Pd, rispondendo a chi aveva bersagliato le divisioni nella maggioranza: «Noi abbiamo sempre votato tutti allo stesso modo. I problemi ce li avete voi e non parlo dei 5S ma del Pd che sull’invio delle armi si è astenuto».
Sono passati due anni dall’inizio della guerra. Gli obiettivi sbandierati allora sono stati mancati. Quanto sia difficile oggi la situazione dell’Ucraina si incarica di illustrarlo nel drammatico dettaglio Calenda, di ritorno da Kiev. Eppure per il governo italiano sembra non sia cambiato niente. Avanti senza alternative alla guerra sino all’ultimo ucraino. Meloni lo dice, in tono meno comiziante, anche nella relazione iniziale. Non tanto perché ribadisce il pieno sostegno a Kiev o difende l’accordo di «cooperazione a 360 gradi con l’Ucraina». Quello era scontato. Ma perché non esita a chiedersi «come si può trattare con la Russia, che non ha mai rispettato nessun impegno?».
Armi e guerra, dunque, però non soldati: «Non siamo favorevoli alla proposta di invio di truppe europee, foriera di una escalation pericolosa, da evitarsi a ogni costo». Parole sante, ribadite in commissione con altrettanta drasticità dai ministri Tajani e Crosetto.
Ma se la guerra mondiale va evitata, e per fortuna, trattare con Putin non si può, quale sia la terza via resta un mistero. In tutta evidenza non lo sa neppure la presidente. In compenso è magistrale nello strapazzare Salvini (assente in aula) senza smentirlo apertamente. Definisce le elezioni «farsa» ma parla di quelle in Ucraina, nelle zone occupate, su quelle in Russia glissa oppure, di nuovo, attacca in modo obliquo ricordando «il sacrificio per la libertà» di Navalny che «non sarà dimenticato». Per amore o per forza la maggioranza deve essere coesa.
Su Gaza la posizione a prima vista è più equilibrata. Il legame con Israele, come ripete anche Tajani, è fuori discussione. «Non possiamo dimenticare che a iniziare la guerra è stata Hamas e lo ribadisco perché la reticenza tradisce un antisemitismo dilagante», dice Meloni.
Subito dopo però critica la «reazione sproporzionata», si dichiara esplicitamente ostile all’attacco contro Rafah, si felicita per il ricambio al vertice dell’Anp. Sottolinea la necessità dell’unica soluzione possibile, due popoli due Stati. Ma di cessate il fuoco non se ne parla proprio e soprattutto per ora non si parla nemmeno di riprendere gli aiuti economici all’Unrwa. Tajani al momento esclude: «Aspettiamo la fine dell’inchiesta, poi decideremo».
Su due punti strategici la premier è sin troppo chiara. Il riarmo è la stella polare: «La Nato deve avere due colonne di pari peso, gli Usa e la Ue. La libertà ha un costo. La sovranità ha un costo».
Saranno costi salati. A pagarli saranno il Welfare e il Green Deal. Con piena soddisfazione del governo: Meloni, fingendo di parlare di agricoltura, si scaglia contro l’«ideologia green», come la definisce sprezzante la Lega, contro una transizione ecologica che sacrifica la produzione. Basta con le «ideologie da salotto», copyright Carroccio. La parola torna alle armi