Giorgia Meloni “occupa” il primo maggio lanciando con un video un fantomatico aumento dei salari da 100 euro: «Il più importante taglio delle tasse sul lavoro da decenni». La realtà è ben diversa: cancellato il reddito di cittadinanza, penalizzati i poveri senza speranza di avere un’offerta. Aumentano precarietà e voucher
POLITICA. La premier «occupa» il primo maggio e nel suo video suona la campanella anche per i lavoratori: devono stare al loro posto
Giorgia Meloni ieri in conferenza stampa - foto Ansa
All’inizio la prima attrice sconta un certo imbarazzo, difetta di naturalezza. Questione di secondi, poi Giorgia Meloni si riprende, acquista padronanza mentre il piano sequenza la segue nelle sale e nei corridoi di palazzo Chigi. Alla fine neppure gli avversari negano che la trovata è stata efficace. La decisione di affidare a un video la missione di rubare ai sindacati e alla sinistra il primo maggio è stata presa all’ultimo momento. Il progetto iniziale era una classica conferenza stampa, poi, dopo l’incontro con i sindacati, la premier si è resa conto che sarebbe suonata come affronto e ha ripiegato sullo strumento a suo tempo introdotto e usato magistralmente da Silvio Berlusconi: un video.
NON MANCA L’IPERBOLE, il già celeberrimo «più importante taglio delle tasse sul lavoro degli ultimi decenni» che si tira il commento caustico di Renzi: «Ha litigato con la matematica». Di sfuggita la deambulante Giorgia trova modo di rivendicare le sue più impopolari scelte, la cancellazione del Superbonus e quella del calmiere sulle accise: è grazie a quelle mosse che oggi ci sono a disposizione i 4 miliardi necessari per gli ulteriori 4 punti di taglio al cuneo fiscale. Uno spruzzo di vittimismo è inevitabile: «Non riesco a capire chi riesce a polemizzare persino su questa scelta». Uno dei passaggi più discutibili, la scure sul reddito di cittadinanza, è contrabbandato con un addomesticato «distinguiamo chi può lavorare da chi non può farlo». Nemmeno una parola, ovviamente, sul lato oscuro del decreto, le norme che pomperanno la precarizzazione.
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OGNI PIAZZISTA ha il proprio stile e quello della premier e del suo regista Tommaso Longobardi è diverso da quello impettito del grande venditore di Arcore. Ma la logica è identica: la politica è un prodotto che si deve saper vendere per accumulare consensi. Come il maestro, la leader di FdI si propone come testimonial. È l’underdog di Garbatella che nel giorno della festa del lavoro si rimbocca le maniche,«Fatti e non parole», sino alla conclusione, in realtà girata prima: l’ingresso nella sala affollata di ministri intorno al tavolone rotondo, per prendere posto fra Mantovano e Tajani e suonare la campanella. Al lavoro, colleghi.
MA LA MESSA IN SCENA, peraltro riuscita pur con qualche sbavatura, non deve trarre in inganno. La manovra non si limita a una trovata pubblicitaria. Dopo l’arrembaggio al 25 aprile, trasformato in Festa della Riconciliazione, la leader della destra occupa anche il giorno del Lavoro e con lo stesso obiettivo: smantellare i pilastri culturali che hanno sostenuto sinora la Repubblica, sia pur sempre più flebilmente. La visione delle relazioni di lavoro che l’erede di Almirante e Berlusconi illustra passeggiando per palazzo Chigi è depurata da ogni eco di conflittualità sociale, il cui riconoscimento era pilastro implicito della Repubblica e della sua Carta fondativa. Scompaiono gli aumenti dei salari tra i più bassi d’Europa, il taglio del cuneo, anzi, mira proprio a evitarli nonostante l’inflazione. Nessuna ambizione di redistribuzione: implicherebbe tasse mirate e a destra è una bestemmia. Nessuna voglia di restituire diritti, adeguati alla dimensione contemporanea. Il precariato è un dato di fatto. I lavoratori devono stare al loro posto e aspettare che, se e quando possibile, il governo suoni la campanella.
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QUANTO EFFICACE SIA sul piano del consenso la mossa di Meloni lo si scoprirà nei prossimi giorni. Di certo è azzardata. Il taglio resterà in vigore sino a dicembre, poi andrà rifinanziato e prorogato. La ministra Calderone ha assicurato ieri che il governo mira a rendere il taglio strutturale, aggiungendo però che «ci deve essere una situazione che lo consente». Il problema è che sui saldi del Def gravano parecchie ombre. L’inflazione è salita prima e più del previsto: dal 7,6% all’8,3%, decisamente peggio che nel resto d’Europa dove pure è in crescita ma di un solo decimale, dal 6,9% al 7%. La scommessa del Pnrr è ancora tutta al buio, la riscrittura del Patto di stabilità si profila più come una minaccia che come un’opportunità. Se il taglio del cuneo non dovesse essere confermato per il 2024, il colpo sarebbe micidiale