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GUERRA UCRAINA. Ultimo mega pacchetto da dodici miliardi in nove anni di armamenti nuovi. Poi basta. Il governo Scholz si dice frenato dalla carenza: «Il nostro esercito ha poco di tutto»

Berlino chiude la borsa delle armi all’Ucraina Il cancelliere tedesco Scholz insieme al presidente ucraino Zelensky prima della guerra - Ap

L’ennesimo “rinculo” del governo Scholz: «La Germania non invierà ulteriori munizioni all’Ucraina oltre agli stock finora concordati», fa sapere il ministro della Difesa, Boris Pistorius, nell’intervista alla Welt am Sonntag, media di riferimento dei conservatori.

Tradotto significa che, una volta consegnato l’ultimo proiettile di artiglieria previsto nella lista delle armi per Kiev, dai depositi della Bundeswehr non uscirà più neppure una pallottola.

Esattamente come specificato nella clausola in calce al colossale pacchetto di aiuti militari al presidente Zelensky (valore: 12 miliardi di euro; durata: i prossimi nove anni) stanziato da Berlino la settimana scorsa. Spicca la sintomatica precisazione: le armi per l’esercito ucraino saranno di nuova produzione e non provenienti dalle riserve delle forze armate tedesche.

COLPA DEI PROBLEMI cronici che affliggono la Bundeswehr, almeno ufficialmente. Dalla carenza delle munizioni destinate a esaurirsi in tre giorni in caso di attacco nemico all’obsolescenza dei sistemi d’arma in maggioranza risalenti agli anni Novanta.

«Il nostro esercito ha poco di tutto. Per rimetterlo in sesto ci vorranno molti anni, inutile nasconderlo. Le lacune non potranno essere certo colmate entro il 2030», riassume Pistorius deciso comunque a «portare la Bundeswehr nell’era moderna dopo anni di scarsi investimenti».

Vuol dire raggiungere il target del 2% del Pil nazionale per la Difesa come impone la Nato, ma anche cominciare a spendere i 100 miliardi di euro del fondo per il riarmo varato dal cancelliere Scholz. Per ora, nonostante i roboanti annunci, non risulta ancora il primo appalto della svolta bellica promessa in primis a Joe Biden.

PROPRIO A WASHINGTON è destinato l’altro messaggio pesante di Pistorius: «Se domani dovesse accadesse il peggio, cioè che alla Casa bianca si insediasse un presidente pronto ad allontanarsi da Europa e Nato, ci troveremmo di fronte a una sfida inimmaginabile», ipotizza il ministro socialdemocratico.

Prima di ricordare come però inevitabilmente «anche un presidente pro-europeo sposterà l’attenzione sulla regione indopacifica». Perciò serve «maggiore responsabilità europea per la sicurezza dell’Europa», chiosa Pistorius. Corrisponde alla linea ufficiale di tutti i membri Ue, eppure il sottotesto tedesco è tutt’altro che declinato all’Unione.

Visto dalla cancelleria di Berlino, distante appena 80 chilometri dal confine est, il premier polacco Mateusz Morawiecki fa sempre più paura.

Sta trasformando la Polonia nello Stato più armato del continente mentre non perde occasione per chiedere alla Germania le riparazioni per i danni della seconda guerra mondiale. Accade ormai per qualunque divergenza fra Berlino e Varsavia, con tono tra vicini sempre meno diplomatico.

NON A CASO Pistorius informa che 100 miliardi per il riarmo non saranno in ogni caso sufficienti. Sul suo tavolo, la stratosferica stima di 300 miliardi di euro per ricostruire al 100% la Bundeswehr, se solo si volesse.

Meglio, se si potesse. Il ministro delle Finanze Christian Lindner, “falco” del bilancio, ha già lanciato l’avvertimento al collega Spd: «Ogni miliardo alla Difesa sarà un taglio da altre parti». Detto dal leader dei liberali, non è difficile immaginare i capitoli della spesa pubblica da sacrificare