Quattro prigionere, nel 1944, fecero esplodere un crematorio del campo di sterminio. Ricordiamo la forza e il coraggio di quella rivolta
L'ideologia nazista teorizzava la necessità di sterminare tutti gli ebrei, senza differenza di genere o di età. Alcuni campi di concentramento furono destinati appositamente alle donne: a Ravensbrück ne furono incarcerate più di 100 mila, ad Auschwitz II si trovavano principalmente prigioniere e una zona femminile era presente anche a Bergen-Belsen. Ma benché sia drammaticamente noto che anche le donne furono vittime della persecuzione e dello sterminio nazista, quello che molte e molti ignorano è la brutalità che fu loro riservata e che, in parte, derivava dalla possibilità a loro concessa di concepire e generare figli ebrei. Per questa stessa ragione, le donne ebree in gravidanza venivano quasi sempre destinate ai campi di sterminio, dove erano condotte prontamente nelle camere a gas: questo trattamento le obbligava a nascondere il loro stato, per non essere costrette ad abortire o per non essere uccise.
Le tante violenze subite nei lager
Non appena arrivate nei campi di concentramento, le donne venivano divise in diverse file, denudate e sottoposte a una prima selezione: esporre il proprio corpo significava violentare quel rigoroso senso del pudore al quale, soprattutto in quegli anni, le donne venivano educate. Alcune venivano selezionate per essere inviate ai lavori forzati, pur sapendo che questi avrebbero causato la loro morte in tempi celeri, mentre quelle più belle e giovani potevano essere selezionate per i “bordelli” con la promessa, non mantenuta, della libertà dopo sei mesi; spesso, nei campi e nei ghetti, le donne venivano stuprate o obbligate a prestazioni sessuali in cambio di cibo o beni primari. Se questo causava una gravidanza e gli "esperti della razza" decidevano che il bambino non poteva essere "convertito", le donne venivano obbligate ad abortire o condotte a partorire in condizioni tali da causare la morte del neonato e quella della madre.
Disumanizzate e torturate
Nei primi mesi di permanenza nei campi, le donne dovevano gestire il flusso mestruale con quello che si riusciva a recuperare in quelle terribili condizioni igieniche; successivamente, a causa della malnutrizione e dell'estenuante lavoro, le prigioniere smettevano di avere le mestruazioni e smettevano di essere donne; scopo che, dal punto di vista psicologico, veniva raggiunto anche attraverso la rasatura dei capelli.
Medici e ricercatori nazisti utilizzavano le donne ebree per esperimenti sulla sterilizzazione: con raggi X, asportando loro l'utero o iniettando un liquido irritante; tutto questo senza ricorrere all’anestesia. La sterilizzazione veniva utilizzata anche per prevenire le gravidanze delle prigioniere utilizzate nei bordelli.
La violenza rivolta verso le donne era quindi sia fisica che psicologica: a partire dal fatto che essere prigioniere nei campi di concentramento e di sterminio significava essere costrette ad abbandonare i figli maschi, appena arrivate.
La violenza sulle donne veniva esercitata anche da altre donne: la direzione del campo di sterminio era affidata alle kapò, rigorosamente selezionate tra le assassine o tra coloro che avevano commesso crimini atroci, in modo che fossero sempre disponibili a picchiare a morte le prigioniere che non obbedivano agli ordini.
La solidarietà tra prigioniere
Ma, nonostante questa inaudita violenza e tutto il dolore al quale le donne erano sottoposte, non mancavano, tra di loro, atti di grande solidarietà e attenzioni verso le prigioniere che versavano nelle peggiori condizioni o che avevano particolari necessità; ad esempio, accadeva con frequenza che il latte materno delle donne che avevano perso un figlio, venisse donato alle compagne che erano state più fortunate ed erano riuscite, con qualche espediente, a far sopravvivere il proprio, ma non avevano nulla con cui sfamarlo. C’era poi chi raccoglieva stracci per poter cambiare i neonati, chi rubava un po' di carbone per riscaldare la stanza, chi improvvisava un biberon con qualche recipiente. Molte donne, nei campi di concentramento, diedero vita a gruppi di mutua assistenza per riuscire a sopravvivere anche grazie allo scambio di cibo e di vestiario.
Quella rivolta dimenticata
Per molti anni le donne protagoniste di questi drammatici eventi subirono un’altra forma di violenza: la rimozione della storia. Infatti, venne ignorato a lungo il ruolo determinante che molte donne svolsero in numerose operazioni della Resistenza, quando si unirono alle unità partigiane, talvolta svolgendo ruoli primari.
Furono alcune donne che ad Auschwitz, durante la rivolta dell’ottobre 1944, fornirono la polvere da sparo che provocò la distruzione di un crematorio e causò la morte di un numero consistente di SS e kapò, dopo averla rubata da un magazzino; Roza Robota, Ala Gertner, Estusia Wajcblum e Regina Safirsztajn, per questo atto eroico, furono arrestate dalla Gestapo e torturate, ma si rifiutarono, comunque, di rivelare i nomi dei complici. Per questa ragione furono giustiziate il 6 gennaio del 1945. Prima di morire, le quattro donne gridarono agli altri prigionieri “siate forti e abbiate coraggio".
Ricordiamo il loro coraggio
E oggi, nel Giorno della Memoria, è nostro dovere ricordare la loro forza e il loro coraggio: le donne, che in un giorno di ordinaria crudeltà, fecero esplodere Auschwitz. Proprio quel preciso angolo della terra dove, da troppo tempo, regnava la banalità del male, come oggi accade in Iran, in Afghanistan e in tanti altri luoghi, nei quali, ancora, le donne stanno conducendo la propria coraggiosa battaglia per la libertà di tutte e tutti.
Oggi, come allora, e ancora domani; coscienti della nostra forza collettiva e del fatto che insieme possiamo scrivere un’altra storia, libera, finalmente, da soprusi e violenza