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ELEZIONI. Il segretario dem prova a sottrarre il partito dalle responsabilità sul sistema di voto che adesso può condannarlo. Ma racconta una storia a metà. Fu lui stesso a scommettere sulla sopravvivenza del sistema maggioritario e a non forzare sul proporzionale. La profezia di Calderoli, vero autore della legge, che cinque anni fa disse: Renzi ha imposto il sistema che estinguerà il Pd
Letta, il Rosatellum e il Pd. Storia di un suicidio perfetto Giorgia Meloni ed Enrico Letta - LaPresse

La profezia del senatore Calderoli, autore occulto della legge elettorale nota come legge Rosato o Rosatellum, rischia di avverarsi con cinque anni di ritardo. «Renzi fa approvare una legge elettorale che probabilmente determinerà l’estinzione del Pd», disse Calderoli il 26 ottobre 2017, giorno dell’ultimo passaggio della legge al senato. In aula ci vollero allora i voti di fiducia imposti dal governo Gentiloni – procedura assai discutibile ma consentita sia alla camera che al senato dai presidenti Boldrini e Grasso – ci volle l’appoggio decisivo del gruppo di Denis Verdini, ci volle l’astuzia di conteggiare le astensioni permettendo a una decina di dissidenti del Pd di dissentire senza sabotare, ci vollero insomma forzature e impegno per consentire al Pd di approvare, assieme a Lega e Forza Italia, la legge elettorale che adesso ripudia.

Su un punto ha ragione Enrico Letta. «Il Rosatellum lo impose Renzi pensando di prendersi il 70% del parlamento», ha detto ieri ed è vero che a quel tempo lui era a Parigi a insegnare. La cosa sulla quale Letta comprensibilmente glissa è che quella legge elettorale fu votata dalla quasi totalità dei gruppi dem; com’è naturale molti dei senatori e deputati di allora sono adesso ricandidati nelle liste del partito – o le hanno composte – senza aver avuto bisogno di fare autocritica sul punto. In definitiva è difficile presentare il Pd, anche quello di oggi, come un estraneo rispetto al Rosatellum.

Vero è, invece, anche se lo si ricorda poco, che il partito democratico aveva messo nero su bianco una mezza critica al Rosatellum già nell’autunno del 2019, quando decise di concedere ai 5 Stelle il via libera al taglio dei parlamentari. Esito per il quale lavorò soprattutto Renzi, già fuori dal partito ma convinto che la riduzione delle «poltrone» (del resto già da lui predicata con la riforma costituzionale fallita) fosse il miglior suggello per la nascita del governo giallo-rosso Conte 2. Ed ebbe ragione, il Pd cambiò linea all’ultimo voto e approvò il taglio (che oggi, anche quello, talvolta denuncia) annunciando però che sarebbero stati necessari dei correttivi alle leggi di contorno. Innanzitutto alla legge elettorale, tant’è che il 7 ottobre 2019 i capigruppo dell’allora maggioranza (Pd, M5S, Leu e Iv) si impegnarono a riformare il sistema elettorale dichiarando che la riduzione dei parlamentari «aggrava alcuni aspetti problematici del Rosatellum», che dunque si ammettevano.

Questa eredità del Pd – zingarettiano – Letta la rivendica tutta, e infatti su twitter scrive: «Con il taglio dei parlamentari si sarebbe dovuto cambiare la legge elettorale. Così le cose si sarebbero equilibrate. Abbiamo tentato. Non ce lo hanno permesso. Ora la riduzione dei seggi con questa legge maggioritaria rende il sistema maggioritario all’eccesso. Un rischio». Purtroppo anche in questo caso il ricordo è selettivo.
Intanto all’epoca il Pd non era affatto favorevole a una legge elettorale proporzionale, che invece avrebbero voluto 5 Stelle e Leu, tant’è che in quell’accordo non se ne fa cenno e si parla solo di «garantire più efficacemente il pluralismo politico e territoriale». Poi il Pd, con Zingaretti prima e con Letta poi, ha rimandato per due anni la questione, lasciando che macerasse in commissione la proposta di legge proporzionale presentata dal grillino Brescia. Che ieri si è fatto sentire, per smentire Letta: «Un testo di partenza era stato approvato, la presentazione degli emendamenti avrebbe fatto chiarezza. Il Pd invece ha voluto solo perdere tempo».

Vero è che sarebbe stato inutile spingere in commissione senza aver trovato un accordo politico con gli altri partiti. Renzi rapidamente ritirò la firma sul patto, la Lega è rimasta a lungo indecisa tra la fedeltà maggioritaria al centrodestra e la voglia di smarcarsi in una conta proporzionale. Però è stato sempre Letta – con l’attenuante di guidare un partito diviso sul punto e con una storia favorevole al maggioritario alle spalle – a dire per mesi che i tempi della riforma elettorale non erano maturi. Rinviando il discorso fino a quando è diventato impossibile: lo era già a prescindere dalla chiusura anticipata della legislatura. E infatti proprio Letta, a novembre dell’anno scorso, «scommise» pubblicamente sul fatto che nessuno avrebbe toccato il Rosatellum. Non proprio il modo migliore per propiziarne la riforma. Giorgia Meloni, quel giorno accanto a lui per la presentazione del libro di Vespa, avendo capito tutto commentò: «È una buona notizia, confido in Letta».