Intervista. La capogruppo di Leu in Senato: bene lo sciopero, su fisco e salari la battaglia è appena iniziata
Loredana De Petris © LaPresse
«Lo sciopero? Il mio giudizio è positivo. In tanti si sono stracciati le vesti, c’è stata un’accusa corale di lesa maestà nei giorni precedenti. E invece il conflitto serve». Loredana De Petris, capogruppo di Leu in Senato, una vita da ambientalista, plaude alle piazze di Cgil e Uil.
Però lei sostiene il governo Draghi.
Nel confronto tra i sindacati e il governo i risultati attesi non sono arrivati. Anzi. Sul mancato contributo di solidarietà dai redditi più alti c’è stato un segnale negativo. Il sindacato fa il suo mestiere, è evidente che con questo sciopero lancia una piattaforma, è solo un punto d’inizio: il tema è una ripresa che porta solo lavoro precario, la gigantesca questione salariale aggravata dall’inflazione, la non equa distribuzione di sacrifici e risorse.
Pensa che la mobilitazione darà frutti già in questa manovra?
Spero che si riapra il confronto col governo, avrebbe già dovuto riaprirsi. Ci sono temi che senza conflitto escono dall’agenda di governo e parlamento: penso al salario minimo, siamo molto indietro rispetto alla Germania. Ma anche ai costi sociali della transizione ecologica.
In Italia c’è un blocco molto forte, politico e sociale, che non vuole politiche redistributive.
In percentuale è un gruppo più piccolo rispetto a quello di lavoratori e pensionati che si caricano quasi tutto il peso dell’Irpef: piccolo ma potente. Ma mi pare che Draghi sia consapevole che i costi sociali della transizione ambientale non potranno ricadere sulle spalle dei più deboli. E che lo Stato deve avere un peso fondamentale.
Il premier dovrebbe restare in carica fino al 2023?
Sono convinta che se Draghi andasse al Quirinale sarebbe molto difficile mettere in piedi un altro governo per proseguire la legislatura. Praticamente impossibile.
Sogna il voto anticipato?
Nel campo progressista siamo molto indietro nella costruzione di una coalizione competitiva, è un lavoro assai complicato. Non mi pare che sia opportuno da sinistra tifare per il voto anticipato.
Lei ha appena annunciato di aver lasciato Sinistra italiana con altri compagni come Paolo Cento. Perché?
Bisogna costruire una forte soggettività politica ambientalista e di sinistra, la definirei socio-ecologista. Quello che c’è a sinistra del Pd non basta più, si rischia di restare prigionieri delle identità. Abbiamo provato a fare questo percorso dentro Si, ma non ha funzionato, nel partito ha prevalso la custodia della propria “casa”. Noi vogliamo invece tornare in mare aperto.
Un altro partitino?
Per carità, sono allergica ai partitini. Al contrario bisogna liberarsi delle piccole case e costruire reti, ponti, che abbiano l’obiettivo di dare una forte impronta ecologista al centrosinistra. Non si può ripetere il modello del Pd con piccoli cespugli.
Ci sono già i Verdi, c’è Si. Perché aggiungere altri soggetti?
Io rispetto queste storie di cui ho fatto parte, ma ormai sono piccole casematte, prigioni. Serve un soggetto, un forum sociale che sia in grado di essere un punto di riferimento per tutti quei ragazzi che manifestano nei «Fridays for future».
Cento sul manifesto ha scritto che il sindaco di Milano Sala e Elly Schlein saranno vostri compagni di viaggio.
Sono personalità con cui dialoghiamo e con cui vorremmo costruire questa rete.
Perché non far vivere questi temi nel Pd?
Non mi pare possibile. Al dunque il Pd sulle sfide del clima sta sempre da un’altra parte.