Fascion. Il leghista chiede il ritorno del «grembiulino» nelle scuole e invoca «ordine e disciplina». E fa un comizio dallo stesso balcone del duce
Il comizio di Salvini dal balcone "mussoliniano" del palazzo comunale di Forlì
Tutto l’armamentario da ducetto. Matteo Salvini nel giro di poche ore passa dal discorso dal balcone del municipio a Forlì alla richiesta di ritorno del grembiule a scuola per riportare «ordine e disciplina» per finire a Montecatini con l’ennesimo accenno alla riapertura delle case chiuse e a Capannori (Lucca) lanciando «la castrazione chimica come cura democratica e pacifica per gli stupratori».
LA CAMPAGNA ELETTORALE del vicepremier e capo leghista è un succedaneo, un distillato, un bignami delle parole d’ordine del ventennio. E allo stesso tempo un tipico esercizio di distrazione di massa in stile berlusconiano, un elenco di slogan e falsi problemi per far parlare delle sue sparate e non affrontare i problemi del paese – come la bambina di Napoli per la quale da ministro degli Interni dice solo «prego per lei» – e della maggioranza in bilico per la poltrona di Siri.
La sparata del giorno è comunque quella sul grembiule: «Nelle scuole elementari e medie va reintrodotto il grembiule o la divisa». Una sparata che si basa su una falsa premessa e su motivazioni finte: «Abbiamo nuovamente previsto l’educazione civica a scuola e vorrei che tornasse il grembiule per evitare che vi sia il bambino con la felpa da 700 euro e quello che l’ha di terza mano perché non può permettersela», dice Salvini durante un breve comizio a San Giuliano Terme (Pisa). Il leader della Lega cita ad esempio la reintroduzione dell’educazione civica – votata all’unanimità alla camera in prima lettura – che in realtà più che il ritorno alla disciplina contiene la conoscenza della Costituzione, spesso disattesa e vilipesa dallo stesso vicepremier, fin dalla scuola dell’infanzia.
Sul ritorno del grembiule i presidi sono scettici e denunciano ben altre priorità per le scuole. «E’ possibile, non mi sembra ci siano problemi particolari nel farlo, certo abbiamo altre priorità, non mi sembra, insomma, una questione fondamentale», commenta il presidente dell’Associazione nazionale presidi (Anp), Antonello Giannelli. «L’emergenza più importante – prosegue il dirigente scolastico – è un’altra: abbiamo solai e controsoffitti delle scuole che andrebbero monitorati, ogni settimana c’è un crollo; a volte si tratta di fatti lievi, a volte cadono interi pezzi di soffitto: questa è una cosa molto urgente su cui intervenire, con un monitoraggio che andrebbe fatto subito e non costa quasi nulla. Invece – osserva ancora Giannelli – si pensa a prendere le impronte digitali ai presidi, una misura che costerà 100 milioni che potrebbero essere dedicati ad altro».
La campagna di conquista delle (ormai ex) regioni rosse va avanti con parecchi segnali contrastanti. I contro comizi di venerdì a Modena, con le pacifiche proteste sedate a manganellate dalla polizia, sono diventati, la stessa sera a Forlì, un coro – «Siamo tutti antifascisti» – che ha sovrastato la voce di Salvini dal balcone del municipio. Lo stesso balcone dal quale Mussolini aveva assistito all’uccisione dei partigiani – impiccati ai lampioni – e aveva tenuto diversi comizi.
«Usare il balcone del municipio su piazza Saffi per parlare a una (per la verità scarsa) platea di un comizio sembra scimmiottare le adunate anteguerra del regime», attacca il sindaco dem uscente, Davide Drei. «Usare la funzione di ministro dell’Interno per utilizzare ogni spazio al di fuori dei regolamenti comunali, confondendo il ruolo istituzionale con quello del segretario di un partito, è un dispetto ai valori costituzionali basilari su cui si fonda l’Italia», continua il sindaco romagnolo.
DI «SFREGIO» ALLA CITTÀ parla anche la Cgil locale: uno sfregio, scrive la segretaria cittadina Maria Giorgini, in particolare «alla piazza intitolata alla memoria di Aurelio Saffi che custodisce il sacrario ai caduti per la libertà a memoria dei 465 partigiani morti per restituire la democrazia e la libertà alla nostra città e al nostro paese».
E un colpo davvero basso Salvini l’ha sferrato venerdì pomeriggio a Reggio Emilia. Dove ha incontrato, fatto selfie e promesse a un gruppo di esodati beffati anche dal decreto Quota 100. Una delegazione dei seimila esclusi dalle 8 salvaguardie post Fornero e ancora senza lavoro e pensione perché sprovvisti dei tantissimi requisiti e paletti fissati dalla Ragioneria generale si sono fatti abbindolare dal vicepremier. E così se poche settimane fa il sottosegretario leghista Durigon dichiarava al manifesto che «secondo l’Inps i seimila esodati non esistono», Salvini ha promesso loro un fantomatico disegno di legge per farli rientrare nell’Ape sociale e andare in pensione a 63 anni. Peccato che nessun disegno di legge, nemmeno quello citato (della leghista Elena Murelli, del 30 aprile) sia agli atti e che gli stessi esodati siano stati ricevuti nei mesi precedenti la campagna elettorale per le politiche con le stesse promesse. La Lega li befferà per la seconda volta.