"Liberi e Uguali" avvia un processo unitario che non va guardato con pigro scetticismo, sufficienza o rancore, ma con occhio critico, attenzione e partecipazione. Nessuno è perfetto e Piero Grasso non lo è. Però merita rispetto e fiducia, anche se la giostra dei leader che cambiano (Pisapia docet) rivela vecchie logiche di partito
Sui grandi giornali, come in tv, è iniziata la campagna per il voto utile urlato da Renzi e dal Pd contro un nuovo protagonista, Piero Grasso, e un nuova aggregazione della sinistra appena battezzata “Liberi e Uguali”. Un atto di nascita di fronte a migliaia di persone, in una discoteca romana che già nel nome, “Atlantico”, fa immaginare una lunga navigazione in mare aperto.
E’ una sinistra, nella parte che fa riferimento a Bersani e compagni, che viene da lontano (dal Pci) e oggi approda, in conseguenza di una scissione, a una lista elettorale in forte dissenso verso le politiche renziane che essa stessa ha condiviso per molti anni (con la fondazione del Pd) aderendo alla grande sbornia neoliberista che in Italia e in Europa ha bombardato lo stato sociale.
Poi c’è una sinistra radicale, come Sinistra italiana, che quelle politiche non le ha mai condivise e le ha combattute nelle istituzioni e nella società. E anche questa sinistra era tra le forze che domenica hanno vissuto un momento importante di reciproco riconoscimento, insieme alle persone che hanno partecipato all’assemblea dell’Eur. Dove si sono ascoltate le voci di chi combatte su ogni fronte. Da Lampedusa, alla fabbrica del panettone, al laboratorio di ricerca. Voci che raccontavano lotte quotidiane contro la diseguaglianza nelle sue varie forme.
Contenuti essenziali di un programma in parte già disegnato, che dovrà essere ben chiarito nella fase che seguirà fino a comporre nei prossimi mesi una piattaforma e una lista elettorale. Tappa intermedia verso la costruzione di un partito della sinistra italiana.
Questa almeno è l’ambizione di chi domenica era presente a Roma, venuto da ogni parte del paese per testimoniare l’urgenza di una scelta. E del resto avviare il percorso di una forza politica di sinistra, elettoralmente non irrilevante e politicamente in sintonia con le sinistre europee di alternativa, è qualcosa che certamente risponde a una domanda diffusa.
Anche per queste sommarie considerazioni non si deve guardare al processo unitario, rappresentato dalla figura di Piero Grasso, né con sufficienza, né con pigro scetticismo, né con rancore ma con attenzione, partecipazione e anche occhio critico.
Proprio come questo giornale ha fatto, alcuni mesi fa, verso un’altra grande e bella assemblea al cinema Brancaccio di Roma. Che voleva le stesse cose, che poi aveva sottoscritto con Mdp, Sinistra italiana e Possibile, una cornice di intenti. Ma quel processo si è interrotto su un diverso metodo partecipativo nella definizione delle candidature e sulla necessità di marcare una più netta differenza dai fuoriusciti del Pd.
Ragioni che hanno anche determinato il distacco di Rifondazione comunista intenzionata a fare una sua lista.
Sono critiche in parte condivisibili e certamente la lista di “Liberi e Uguali” sconta debolezze che ne segnano anche la genesi.
Nessuno è perfetto.
Pietro Grasso, che di questa aggregazione è il front-man, non lo è. Però merita rispetto e fiducia, anche se avevamo capito che, fino all’altro ieri, l’acchiappavoti indicato da Bersani rispondeva al nome di Giuliano Pisapia.
Questa frettolosa ricerca del leader rivela una vecchia logica di funzionamento dei partiti, che andrebbe superata perché poi se non si rinnovano i metodi per la scelta della classe dirigente si finisce per perpetuare un ceto politico che, nel caso di “Liberi e Uguali” mostra tre baldi quarantenni (Speranza, Fratoianni e Civati) e nemmeno una delle molte compagne di viaggio dopo tante belle parole sulla battaglia di genere (anche il nome declinato al maschile non è una scelta felicissima: forse sarebbe stato meglio “Uguaglianza e Libertà”, non cambia la sostanza ma la forma sì).
La scelta di Grasso è forte perché a disegnarne il profilo sono le tre trincee della sua storia.
La trincea di Palermo, vale a dire la linea del fronte contro la mafia insieme agli altri allora giovani magistrati a fianco di Falcone e Borsellino.
La trincea del senato, un campo di battaglia infuocato, bersagliato dalle cannonate del governo, condannato a morte certa dalla riforma renziana e salvato insieme a tutta la Costituzione dalla vittoria del no, una domenica di giusto un anno fa.
E ora Grasso si butta nella trincea della sinistra, e dal palco dice, a chi lo accompagna con gli applausi, che a lui la parola “radicale” gli piace proprio. Come gli piace l’articolo 3 della Costituzione, perché gli sembra racchiudere un programma perfetto, una bussola sicura per costruire la politica di un futuro che corre veloce. Cogliendo “il vento che sta cambiando” come ha detto Susanna Camusso in piazza contro il governo.
Se dunque è vero che il nuovo si costruisce attraverso un vero cambiamento, è anche vero che dall’Eur è stato lanciato un messaggio forte, che potrebbe rimettere in moto energie, speranze, voglia di esserci.
Proprio per questo si capisce il fuoco di fila appena iniziato: lo spauracchio di D’Alema – che certo non è il nuovo che avanza – è solo un esempio.
Sembra di sentire le parole dei comunisti sovietici che attaccarono – quasi 50 anni fa – il gruppo nascente del manifesto accusandolo di favorire la destra, quel famoso «a chi giova?» che cercò di creare un cordone politico-elettorale preventivo.
Ma questa è la pessima propaganda di certi leader che promettono un milione di posti di lavoro all’anno. Le loro urla adesso cadono nel vuoto.