21 ottobre 2017
|Di Bruno Ugolini
Susanna Camusso nella sua prima intervista a strisciarossa fa un bilancio degli incontri e della trattativa con il governo di Paolo Gentiloni sui contenuti della legge di Stabilità. Il giudizio è nettamente negativo: non vedo passi avanti, dice. Il sindacato, pensando alle esperienze del recente passato con il governo Renzi, è sicuramente di fronte a un atteggiamento diverso, meno strafottente ma privo di risposte positive. “Siamo a valle di una scommessa politica persa” dice la segretaria della Cgil che non vede all’orizzonte una nuova strategia politica dopo quella, fallita, del referendum costituzionale. E sulla sinistra Camusso denuncia un “vuoto” e una “distanza” e auspica un lavoro di ricostruzione dal basso: “Senza la partecipazione e il coinvolgimento dei cittadini non c’è sinistra”.
Le risposte del governo sulla legge di stabilità rappresentano un cambiamento rispetto al passato, come qualcuno dice? C’è stata un’apertura, ad esempio con il via al rinnovo del contratto del pubblico impiego?
Deve essere chiaro che il blocco di quei contratti finirà quando verranno davvero rinnovati. L’accordo sul contratto dei pubblici avvenne prima del famoso referendum del 4 dicembre 2016. E la novità introdotta dal governo sta nella soluzione trovata rispetto agli 80 euro. Per il resto il governo Gentiloni mi pare si stia muovendo in continuità con quanto fece il governo Renzi. Certo c’è un atteggiamento meno strafottente nel rapporto con le parti sociali. Resta il fatto, però, che questa legge di bilancio è priva di qualunque idea sulla prospettiva. Penso alla sanità, alle pensioni, ai giovani, agli investimenti. Con l’esecutivo, in definitiva, abbiamo una valutazione differente sullo stato del Paese. Noi pensiamo che la ripresa che c’è, sia pure in termini ancora ristretti, non sia frutto di un risanamento strutturale.
Il confronto col governo Gentiloni è stato fallimentare su giovani e su anziani?
Il governo, per i giovani, si era impegnato a creare una pensione di garanzia. L’hanno completamente cancellata. È grave perché soluzioni per i giovani non le costruisci quando andranno in pensione. Eppure si poteva pensare a creare uno strumento che, senza costi immediati, potesse intervenire sulle pensioni di ragazze e ragazzi coprendo la discontinuità contributiva. Allo stesso modo si sono contraddetti sulla necessità di riformare la legge Fornero. Con due effetti: programmare l’impoverimento del Paese e destabilizzare la previdenza. Uguale sorte hanno avuto le richieste sulla tutela previdenziale del lavoro di cura delle donne.
Non siamo più ai tempi della concertazione. C’è stato però un minimo di dialogo?
La forza della concertazione stava nella condivisione di obiettivi per il Paese. Penso alla politica dei redditi, alla scelta di entrare in Europa. Eravamo di fronte a orizzonti strategici. Certo, ci sono fatti importanti come l’impegno di quattro ministri sull’attuazione della legge sul caporalato che la Cgil ha fortemente voluto, e sul rafforzamento delle prevenzione oltre che della repressione del fenomeno, ma, nel complesso, il lavoro per il governo non rappresenta un orizzonte verso cui dirigersi.
Manca, par di capire, un disegno complessivo…Siamo in presenza quasi una specie di tirare a campare?
Si, siamo a valle di una scommessa politica persa, che ha puntato tutto su quel cambiamento della Costituzione che gli italiani hanno fragorosamente respinto al mittente e mi sembra che la politica non sia in grado di elaborare una strategia di medio lungo periodo.
Cade in questa stagione anche la vicenda dell’attacco al governatore della Banca d’Italia. Come la giudichi?
Si è coinvolta la Banca d’Italia in una lotta politica per la premiership che ha gravemente danneggiato le istituzioni.
Esiste comunque, alle spalle, il problema che investe tante banche e tanti risparmiatori…
Possiamo dire che la Banca d’Italia non li abbia denunciati? No, non possiamo. L’attacco al Governatore di Banca d’Italia mi sembra un tentativo per cercare un capro espiatorio. E’ come se si dicesse: non voglio permettere che i 5 Stelle facciano la campagna elettorale sugli scandali bancari e sui legami che hanno con la politica e quindi indico un colpevole.
Passiamo al sindacato. Quali esempi potresti indicare di una Cgil che in questa fase complicata rinnova se stessa anche nel modo di agire sindacale?
C’è, ad esempio, una categoria come la Flai (lavoratori agroindustria) con le esperienze del “sindacato di strada”. E’ un modo per cambiare profondamente l’impostazione, con tutte le difficoltà che questo comporta, aprendo una serie di contraddizioni nuove. Ad esempio l’impegno sul lavoro dei migranti li ha portati a discutere sulle differenze di retribuzione tra lavoratori europei e africani, a ricostruire una solidarietà. Siamo di fronte a problemi inediti. Non è certo la riedizione della antica lega dei braccianti. Vediamo così compagni e compagne che si mettono a studiare lingue diverse per poter interloquire con i lavoratori. Le stesse modalità con le quali abbiamo affrontato la costruzione della carta dei diritti hanno rappresentato uno straordinario esempio di rapporto con la gente, di ascolto e di elaborazione collettiva.
Tra i terreni del rinnovamento c’è quello del cosiddetto lavoro 4.0. Hai lanciato, nel corso di un apposito convegno uno slogan: “contrattare l’algoritmo”. Che significa?
Dietro l’economia delle applicazioni, ovvero quei programmi che sempre più spesso regolano la vita lavorativa delle ragazze e dei ragazzi che operano nel commercio o nei servizi, ma pure in quei cicli produttivi che hanno necessità di rielaborazione rapida dei dati, compare sempre più spesso un’entità che si vuole presentare come oggettiva e intoccabile: l’algoritmo, un nuovo controllore dei tempi, dei metodi , delle prestazioni, della regolazione e del comando aziendale. E’ considerato intoccabile, automatico. Nessuno può metterci le mani. Per riconquistare una capacità di intervento bisogna cominciare dalla destrutturazione di questo mito. L’algoritmo non è oggettivo. È organizzato sulla base degli obiettivi produttivi che si vogliono ottenere. Determina così anche la condizione delle persone. E allora bisogna poter stabilire quali sono queste condizioni, dagli orari ai carichi di lavoro. Bisogna conoscere come è fatto, come opera e bisogna riuscire a metterlo in discussione, contrattarlo.
La Cgil in questa che si annuncia come una campagna elettorale non certo serena, come si comporterà? Non c’è il rischio di una scomparsa in Parlamento di rappresentanze di sinistra e che vinca la coalizione di destra?
La storia di questi anni è fatta da un continuo interrogarsi, qui come nel resto d’Europa, sulla rappresentanza politica del lavoro. Ciò che caratterizza un pensiero di sinistra dovrebbe essere il contrasto delle diseguaglianze, la costruzione di una società più equa. La stessa crisi è figlia di quelle diseguaglianze. Avere una sponda su queste tematiche è fondamentale per il sindacato. Per mantenere una sintesi confederale e non scivolare sistematicamente nel corporativismo la Cgil ha fatto in questi anni delle scelte (la carta dei diritti, i referendum) che sono esattamente figlie anche di un’altra scelta, di un intervento con gli strumenti della politica. La strada è quella dell’autonomia progettuale della Cgil.
Sono tutte implicazioni che dovrebbero spingere verso un nuovo approccio alle tematiche del lavoro anche la sinistra politica. Una sinistra che compare e scompare, a giorni alterni. E’ così?
Ho speso la mia vita oltre che nel sindacato confederale, anche nell’essere donna di sinistra. Non c’è dubbio che c’è un vuoto. Non c’è dubbio che c’è una distanza. E’ la conseguenza dell’aver progressivamente ristretto gli spazi di partecipazione. Continuo a considerare sbagliata l’idea di affidare tutto a interventi virtuali. Credo che ci sia bisogno di strutture capaci di trovare un collegamento con le persone. Credo che sia complicato ricostruire una sinistra se non ci si pone questo tema. Non è solo una questione che riguarda il posizionamento parlamentare. E’ una sollecitazione che riguarda anche noi: il sindacato non c’è se non ci sono i lavoratori. Così la sinistra non c’ è se non ci sono cittadini che partecipano. E se non c’è una costruzione, con loro, di un orientamento, di un’opinione, di una priorità.