Nella settimana dei Ludi Melonii a Roma, i festeggiamenti di Giorgia Meloni alla guida da due anni del governo che si tengono ad Atreju al Circo Massimo, un articolo sottile e critico pubblicato l’altro ieri sull’influente sito Politico Europe è stato usato per incoronare la presidente del Consiglio definita come «l’Uomo forte» [The Strongman].
L’IRONIA DEL TITOLO dell’articolo è sfuggita in Italia dove è stato tradotto all’impronta con «Persona più potente d’Europa». Sarà che l’articolo è scritto in inglese, e dunque non è accessibile a molti, ma il significato dovrebbe essere chiaro. L’articolo allude all’insistenza di Meloni ad usare la forma maschile del suo titolo formale – Il e non La presidente del consiglio – per dire che lei è una «donna forte» come dovrebbe essere un uomo. La negazione del genere femminile è paradossale per chi come Meloni sostiene lo spauracchio della «teoria gender». Il sottinteso della diatriba è anti-femminista e fa parte della «guerra delle idee» contro la cosiddetta «sinistra».
L’ARTICOLO SI È SOFFERMATO sulla capacità politica di Meloni di approfittare della debolezza dei centristi neoliberali alla Macron in Francia o dei social-liberisti alla Scholz in Germania. Loro sono al tramonto, lei si propone come interlocutrice «stabile» dei «liberaldemocratici che la considerano una rappresentante accettabile di un movimento che non comprendono del tutto». Per questo Meloni propone una zoppicante alleanza tra centristi autoritari e allo sbando e un minestrone di forze «conservatrici» e postfasciste. Tale progetto sembrerebbe essere stato preso in considerazione ed è sbandierato in Italia dai megafoni della maggioranza. Nella storia del liberalismo» non è la prima volta. La sua arrogante debolezza ha già creato incubi in passato.
«POLITICO» HA EVIDENZIATO il cinismo dei «liberaldemocratici» che evocano a parole principi e valori (quelli dei diritti civili o della giustizia sociale), ma li mettono da parte quando si tratta di mantenere il potere. L’Europa, e i governi, non denunciano il sistematico attacco dei meloniani alla magistratura; non critica il divieto ai sindaci di rilasciare certificati di nascita ai bambini nati da madri surrogate o da coppie lesbiche o il liberticida Ddl Sicurezza. Non vede le denunce di Meloni contro chi critica Meloni (il cantante dei Placebo Brian Molko che l’ha definita «fascista» in un concerto nel 2023) o di un’insegnante che l’ha definita «neonazista» in una discussione in classe. Anzi i tedeschi (o i laburisti inglesi) si sono detti interessati al sistema delle deportazioni dei migranti nei centri di trattenimento in Albania. Dicono di volere imitare Meloni, nonostante il loro fallimento. Dunque, Meloni non serve solo a mantenere un’apparente stabilità a livello sovranazionale. Offre anche soluzioni all’autoritarismo diffuso e alla xenofobia diffusa nel continente. Dall’articolo di «Politico» emerge l’omogeneità ideologica tra il postfascismo e la «liberaldemocrazia» per quanto riguarda lo sciovinismo anti-migranti. Anche per questo la presidente della Commissione Ue Von Der Leyen ostenta una vicinanza a Meloni e si è battuta per spaccare la sua maggioranza e allargarla con Raffaele Fitto.
LA CHIAVE DELL’ARTICOLO, oscurata in Italia, è questa: l’opportunismo, scambiato per realismo, delle élite europee e dei meloniani conviene a entrambi. Bruxelles non metterà i bastoni tra le ruote come in passato. In cambio Meloni garantirà all’Ue il consenso sulla svolta dell’economia di guerra che si prepara nel 2025 con l’istituzione di un fondo comune per «la difesa». Meloni assicura anche il consenso sul nuovo patto di stabilità fatto di tagli e austerità che entrerà in vigore l’anno prossimo. In Italia la legge di bilancio ha recepito ricette economiche che metteranno nei guai il paese per i prossimi sette anni. E forse di più.
PER «POLITICO» uno dei punti ciechi della diffidente intesa tra «liberali» e meloniani si chiama Trump. L’Europa è esposta alle frustrazioni di un pericoloso reazionario a capo di un paese risentito. Meloni non può illudersi che basti l’amicizia di Elon Musk. Il presunto ideologo Steve Bannon le ha mandato un messaggio. Lui la preferiva quando era al 3% e non provava a imitare Angela Merkel. Per ora, Meloni non sente il richiamo delle origini. Sono gli altri a dare il peggio di sé.