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INTERVISTA A STEFANO UNGARO. L'economista: impossibile fissare un price cap in Italia. Spagna e Portogallo hanno potuto perché isolate: non possono esportare energia. Tassare Eni è doveroso: 7 miliardi dovuti solo alla speculazione

«Tetto al gas possibile solo a livello Ue, l’Italia ha fatto male e in ritardo» Stoccaggio del gas in Germania - Foto Ap

Stefano Ungaro, economista alla Banca di Francia ed esperto di gas, energia e politiche europee, ci aiuta a capire se è fattibile mettere un tetto al prezzo del gas?
Il tema è complesso perché va affrontato sia dal lato tecnico che da quello politico. Da questo secondo punto di vista una soluzione si può trovare a livello europeo – e sarebbe la soluzione migliore e più efficace. Ma ci sono vari modi per implementarla e ogni paese cerca di tirare l’acqua al proprio mulino. Per esempio la proposta Draghi è stata bocciata da molti paesi. L’idea è quella di mettere un tetto – il famoso price cap – al prezzo d’acquisto all’ingrosso del gas: ridurre il prezzo del gas dai paesi che lo producono e con la differenza con il prezzo di mercato che sarebbe pagata alle imprese europee dall’Ue. L’Olanda e i paesi frugali sono contrari a queste sovvenzioni per ragioni di difesa del mercato e, soprattutto, perché, diversamente da noi, utilizzano meno gas nel cosiddetto energy mix delle fonti usate per produrre energia. Un modo per far funzionare il price cap potrebbe essere invece applicare un tetto al prezzo a livello comunitario direttamente al venditore. In termini pratici significa che i paesi dell’Unione europeo hanno sufficiente forza per imporre un prezzo calmierato del gas acquistato, dicendo: “Noi non ti paghiamo il gas oltre questa cifra” che viene stimata in 150-200 euro al megawattora.

L’economista Stefano Ungaro
L’economista Stefano Ungaro

Questa versione del price cap europeo avrebbe una maggioranza di paesi favorevoli?
In questo momento sembrerebbe esserci una maggioranza di paesi disposti a farlo nei confronti della sola Russia, passandola sotto forma di sanzione. Politicamente è dunque fattibile, dal punto di vista tecnico però la Russia potrebbe vendere il gas ad altri paesi al prezzo di mercato e poi questi paesi lo venderebbero a noi a prezzi superiori. Quindi per attuare questa versione serve forzatamente esercitare un controllo anche sugli altri paesi produttori come Algeria, Norvegia e Azerbaijan. È una soluzione allo studio della commissione europea anche in una versione diversa: utilizzare il price cap verso tutti i paesi produttori.

Se ne discuterà al prossimo consiglio europeo?
Sì, ma se ne sta già parlando a livello informale perché le conseguenze sono scontate: applicare il price cap a tutti i paesi significa mettere in conto che, come risposta, le forniture saranno fatalmente ridotte. E il ricatto della Russia con la riduzione delle forniture è già in atto: potrebbe chiudere totalmente i rubinetti.

Esiste però la soluzione spagnola-portoghese. I due paesi già da maggio hanno affrancato il prezzo del gas dal prezzo dell’energia fissando un cap e ripagando le proprie aziende della differenza di prezzo.
Sì, la proposta di Draghi è a livello comunitario mentre Spagna e Portogallo sono partiti prima e sono riusciti ad implementare la loro normativa.

Ma perché il modello spagnolo e portoghese non può essere esportato a tutti i paesi?
Per due ordini di ragioni. La prima è che il costo per un singolo paese è molto più alto mentre se il cap fosse applicato dall’Unione europea i costi sarebbero molto minori. Ma c’è anche una ragione di regole europee: se tu sovvenzioni la differenza di prezzo rendi meno cara la tua energia rispetto ai paesi confinanti e quindi il paese beneficiario di questa riduzione di prezzo potrebbe esportare convenientemente il gas. Ma questo è vietato dalla Concorrenza europea e sarebbe sanzionato come «aiuto di stato». Spagna e Portogallo l’hanno potuto fare solamente perché la rete portoghese confina solo con quella spagnola mentre quella spagnola confina anche con quella francese con cui però ha una capacità di trasmissione dell’energia elettrica bassissima, di circa il 3%. A loro la commissione europea l’ha lasciato fare perché la legge non inficia la concorrenza.

Quindi mi sta dicendo che l’Italia – come nella proposta del Pd di fissare il prezzo a 100 euro al megawattora – non potrebbe farlo?
Sì, non potrebbe perché noi potremmo esportare l’energia verso l’Austria, la Slovenia e anche verso la Francia, sebbene da loro siamo importatori. Dunque a livello europeo non potrebbe mai essere approvata.

Passiamo invece al tema degli extraprofitti. In Spagna e Portogallo il price cap è finanziato in buona parte dalla tassazione delle imprese energetiche.
La tassazione degli extraprofitti è una misura necessaria. In Italia Eni è passata da 1,1 miliardi di utile al 30 giungo 2021 a oltre 7 miliardi al 30 giugno 2022. Questi profitti vengono quasi interamente dalle bollette energetiche pagate dai cittadini. Eni ha distribuito 3 miliardi di dividendi e dunque lo stato, azionista al 30%, ha incassato un miliardo. Tutto ciò al netto degli extraprofitti.

Draghi anche ieri ha rivendicato la norma sugli extraprofitti. Intanto le imprese fanno ricorso per non pagare.
Rispetto ad altri paesi il governo italiano è stato poco incisivo ed ha deciso per un’aliquota più bassa – 25% – senza ragione anche perché si tratta di profitti dovuti esclusivamente alla speculazione sul prezzo del gas di cui Eni ha approfittato a spese dei cittadini: una redistribuzione dal basso verso l’alto mentre andrebbe fatto il contrario. Quanto alla platea di imprese coinvolte la normativa italiana è in linea con quella di Spagna e Portogallo.

Guardiamo ora al futuro. Il governo Draghi è in tempo per intervenire? O subiremo le conseguenze più degli altri paesi?
Sicuramente potrà intervenire solo il prossimo governo. E quindi fatalmente subiremo conseguenze maggiori rispetto agli altri paesi. Anche perché abbiamo fatto meno rispetto agli altri, compresa la Francia, e abbiamo un energy mix e un’inflazione peggiore. In più ci muoveremo più tardi.