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Governo Meloni Per due anni e mezzo la premier ha puntato le sue fiches politiche sulla capacità di accreditarsi presso centrali occidentali attestate su posizioni opposte alle sue, tanto a Washington quanto a Bruxelles. I tempi stanno per cambiare

Il sogno neomissino e la scommessa americana

 

In conferenze stampa inutilmente fluviali come quella di ieri c’è quello che i presidenti del consiglio dicono. Quella di turno ha detto pochissimo. C’è poi quello che i premier non dicono ma che spesso è anche più eloquente.
Giorgia Meloni è stata ben attenta a non farsi scappare una sillaba critica nei confronti del futuro presidente americano che proclama di volersi prendere, tra le altre cose, un pezzetto d’Europa. Non è che volesse minacciare qualcuno. Rispondeva casomai alla minaccia cinese, il pericolo giallo. Lanciava un messaggio a Pechino e ognuno nella messaggistica ha il suo stile.

Infine c’è quello che, intenzionalmente o meno, i leader bersagliati dalle domande dei cronisti fanno capire. A proposito di rapporti con Elon Musk e con il già citato Donald Trump la presidente italiana ha fatto capire anche troppo. In una kermesse sonnacchiosa, priva dell’abituale grinta salvo che si trattasse di azzannare giornalisti, la premier si è svegliata e ha sfoderato gli artigli solo quando gli incauti hanno messo in mezzo il tycoon. L’uomo più ricco del mondo, con tutti e due i piedi nella comunicazione, forte di una flotta di satelliti in continua crescita che quasi tutti gli eserciti del mondo se la sognano mette becco ogni santo giorno nella politica di Stati europei che considera prossima terra di conquista? Be’ che male c’è a esprimere le proprie opinioni? Quella tutto è tranne che ingerenza politica. Soros, piuttosto, che non si limita a parlare ma apre i cordoni della borsa: lui sì che minaccia: «Musk non è un pericolo per la democrazia: Soros sì».

Giorgia chiama, Elon, che non perde di vista il quadro italiano nemmeno per un attimo, si affretta a rispondere. Rilancia le parole della cara amica, aggiunge lapidario commento: «E Soros sta per essere sconfitto». Accorrono all’appello anche i Patrioti, che dovrebbero essere i duri traditi dalla moderata Giorgia invece duettano che è una meraviglia: «Musk è libero di dire la sua. L’establishment europeo guardi piuttosto a Soros». Ce ne fosse uno che sfugge al gioco della torre e conclude che i tycoon di qualsiasi colore andrebbero tenuti a bada e a distanza.

La premier è abile, chi non lo ha ancora capito farebbe bene a cambiare mestiere. Quando si arriva al nodo Starlink è cauta: giusto un’istruttoria, conclusa la quale entrerà in ballo chi di dovere, il Consiglio di Difesa, il Parlamento. Ma sia chiaro che la sola alternativa è fra Starlink e il nulla, quindi amici cari fate un po’ voi. Se avesse detto che l’accordo è già nell’ordine delle cose avrebbe fatto prima. Magari mezza parola sulla necessità di darsi da fare per evitare che Iris2, il sistema europeo, arrivi al traguardo quando sarà troppo tardi avrebbe modificato il senso del messaggio. Non c’è stata.

Quando dal tycoon che gioca con la politica si passa a quello che ormai la politica la fa da professionista, il presidente degli Stati uniti rientrante, la premier italiana diventa cerimoniosa. Il rapporto con lui chissà se si può definire privilegiato (magari!) ma certo è molto solido. Col vecchio Joe era già un idillio ma vuoi mettere averci a che fare con uno che la pensa come te su tutto: «Con due leader conservatori la convergenza può essere rafforzata».

Per due anni e mezzo Giorgia Meloni ha puntato le sue fiches politiche sulla capacità di accreditarsi presso centrali occidentali attestate su posizioni opposte alle sue, tanto a Washington quanto a Bruxelles. I tempi stanno per cambiare. Ora gli occhi della premier sono puntati oltre Atlantico, tanto in termini di rapporti politici quando economici. Musk è molto più del proprietario di un’azienda con il quale tocca trattare perché altro il mercato non passa. È il tycoon al quale offrire una testa di ponte per la conquista dell’Europa in cambio di corposi investimenti di ogni tipo. Trump non è solo un presidente degli Usa affine nella visione di fondo: è l’alleanza che, se realizzata davvero, può mettere le ali al sogno neomissino della premier. Una cosa la noiosa conferenza stampa di ieri ha reso chiara: il secondo tempo del governo Meloni sarà sensibilmente diverso dal primo.