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Vale la pena Un giorno da non archiviare tanto in fretta, per onorare lei e tutte quelle e quelli che in Iran hanno ancora la stravagante pretesa di praticare l’informazione

Donna, vita, libertà Meloni saluta Cecilia Sala al suo arrivo a Ciampino

Donna, vita, libertà. È un sorso d’aria fresca, Cecilia Sala che scende sorridendo la scaletta sulla pista dell’aeroporto di Ciampino. Un giorno da festeggiare con il massimo sollievo, e in questi tempi truculenti è davvero parecchio. Un giorno da non archiviare tanto in fretta, per onorare lei e tutte quelle e quelli che in Iran hanno ancora la stravagante pretesa di praticare l’informazione, con il terrorizzante carcere di Evin come fondata prospettiva a breve termine.

Donna, vita, libertà. Lo slogan delle donne iraniane oggi lo possiamo capire da vicino. Una donna, una giornalista, è tornata a casa sulle sue gambe, scampando all’intreccio imprevedibile di vite gettate su tavoli perennemente truccati da troppi giocatori e troppe regole palesi o occulte.
Quale partita l’abbia riportata a casa sarà un affare di domani. E Giorgia Meloni ha fatto con efficienza il suo dovere a trattare, a impiegare ogni riposto pertugio della diplomazia e della politica, a concordare un prezzo e pagarlo. Il partito della fermezza ci sta sull’anima da quando nacque l’espressione “partito della fermezza” (il remoto ‘78, il sequestro Moro, un milione di conflitti fa). E poi chiediamo scusa ma a noi, mentre stappiamo bottiglie per festeggiare il ritorno di Cecilia Sala, tornano negli occhi altre immagini.

L’aereo dei servizi fermo a Ciampino, l’ostaggio – perché sì, è l’ostaggio – che ne esce, la fanfara di autorità allineate nel terminal, tutto questo provoca una fitta agrodolce e potente. Perché l’abbiamo già vista, Giuliana Sgrena che scendeva ferita quella scaletta, e sono certamente situazioni diversissime e imparagonabili, ma un paio di analogie le abbiamo chiare, come tatuate sulla pelle. E non sono questioni del tutto secondarie. Ad esempio, che per riportarla a casa avremmo detto e fatto qualsiasi cosa, avremmo trattato anche con Belzebù, avremmo pagato ogni e qualsiasi prezzo. La vita, le partite truccate e un artigliere americano ci presentarono un conto imprescrittibile al funerale del suo liberatore, Nicola Calipari. Insomma, qualcosa ne sappiamo.

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Oggi Cecilia Sala dormirà nel suo letto con venti giorni di ritardo sulla sua tabella di marcia, venti giorni passati in una sinistra prigionia e al centro di un caso che ha assunto una rilevanza internazionale decisamente insolita per una vicenda italiana – e meno male. Mentre Giorgia Meloni ha già apparecchiato la conferenza stampa di inizio anno, quella con 160 giornalisti accreditati. Sarà più di un trionfo, sarà un processo di beatificazione. E va bene anche questo, se – per una volta – ha una motivazione felice. È bene comunque non distrarsi troppo, questo esito certifica ciò che già era noto: per esercitare una prerogativa politica e legale nazionale sempre disponibile, bisogna chiedere il permesso agli Stati uniti.

Per scambiare Cecilia Sala con l’ingegnere iraniano Abedini non serviva andare a Mar-a-Lago, bastava una telefonata, che magari spiegasse perché l’ingegnere non aveva commesso niente che fosse reato in Italia, che i pasdaran iraniani sono brutte persone ma l’Europa non li considera terroristi, che i tribunali italiani non sono soggetti a ordinanze presidenziali.

Il blitz aereo fino alla Versailles di Donald Trump è stato più che altro un’occasione per accreditarsi come cinghia di trasmissione tra l’Europa e l’Atlantico, interprete autentica della relazione speciale tra Washington e 27 ringhiosi e divisissimi Paesi, e di passaggio magari accennare agli utili satelliti di un noto e politicamente incontinente miliardario sudafricano.

Finisce l’era dell’irrilevanza, esultano oggi i media e gli esponenti politici della destra italiana – l’imperizia dei quali ha rischiato di complicare orrendamente la vita di Cecilia Sala, ma questa è un’altra questione che attiene più al “premierato per manifesta inferiorità” che già vige in questo Paese. Accomodiamoci con maggior agio nell’epoca dell’osservanza, questa volta con un posto in prima fila. Intanto stappiamo un’altra bottiglia. Donna, vita, libertà.