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Opinioni Il diritto internazionale soffre di un paradosso: che vige solo in virtù della forza che regola. Non basta l’occhio nichilista della geopolitica, metafisica geografica della volontà di potenza. Ecco oggi il mondo girato a destra: la giustizia appiattita sulla forza, vince la politica che viola i vincoli del diritto, diventando criminale e si rovescia nell’opposto, la guerra

Oltre l’indicibile. Preghiera ai lumi del solstizio d’inverno – Ikon

No. Morire di freddo a tre settimane di vita, a Natale, in Palestina: non si può! Una bimba, il quarto bebé in pochi giorni. Non si può continuare a chiamare “terroristi” i giornalisti per poterne sterminare cinque in un colpo solo, come ieri. Questa è violenza assoluta, legibus soluta. È inconcepibile che un responsabile di questo sterminio se ne vanti.

Calpestando la terra sacra alle sue vittime, nel nome del dio dei suoi eserciti. Dove ha origine allora la separazione tra forza, violenza e giustizia?

Pascal era conciso. «Non potendo fare che ciò che è giusto fosse forte, abbiamo fatto che ciò che è forte fosse giusto». Conciso nelle ragioni del cuore: lo sconforto etico, ma anche lo sconcerto filosofico-giuridico. Questo detto famoso esprime una versione del paradosso del diritto, che vige (ha vigore, efficacia) solo in virtù della forza che regola (o dovrebbe: è nato per vincolarla, limitarla, civilizzarla). Niente quanto il diritto internazionale soffre oggi di questo paradosso, che può essere guardato con l’occhio nichilista della dottrina geopolitica, questa metafisica geografica della volontà di potenza, che ha trovato oggi un alleato nel «copresidente Elon Musk» (The Washington Post).

MA LO STESSO PARADOSSO può e dovrebbe essere guardato, invece, con l’occhio del pacifismo giuridico da cui è nato il moderno diritto internazionale. Che per eccellenza esemplifica un altro concetto, espresso con un aforisma di pascaliano nitore: il diritto è la prosecuzione della filosofia con altri mezzi (copyright Ileana Alesso, Presidente di Fronte Verso Network, un’associazione dedita a tradurre in una lingua comprensibile a tutti le leggi e le sentenze, progetto che più socratico non si potrebbe: vedi il libro che Alesso ha scritto con Gianni Clocchiati, prefatto da Gherardo Colombo: Con parole semplici. Leggi, etica e cittadinanza: la comunicazione responsabile, Melampo). Tornando al paradosso: questa altezza mediana del diritto, che sta sospeso a metà fra la giustizia e la polizia, non è un’infelice contraddizione, ma un circolo, che può girare in senso virtuoso o in senso vizioso. E gira all’indietro, viziosamente, se Gorgia la vince su Socrate, la sofistica e la retorica sull’etica e la logica, se l’uomo più potente al mondo grida (nello spazio pubblico che privatamente possiede) alla Germania che solo i neonazisti potranno salvarla e all’Italia che se il suo governo calpesta i diritti umani dei migranti ha sempre ragione; se l’Unione europea approva che i sistemi missilistici forniti dai paesi occidentali possano colpire in profondità la Russia, accettando così lo scontro diretto fra Russia e Nato; se il presidente statunitense uscente approva la reintroduzione di armi micidiali già proibite, se le potenze disfano del tutto gli accordi del 1987 fra Reagan e Gorbaciov, riposizionando in Europa i missili a medio raggio; se pochissimi fra gli stati membri dell’Onu e della Convenzione sul genocidio mettono in pratica le misure immediatamente esecutive della corte di Giustizia Internazionale per fermare il genocidio a Gaza, se Israele può sputare impunemente sull’Onu e i suoi tribunali con l’appoggio dei suoi alleati, se Amnesty International e Human Rights Watch denunciano l’inferno in Palestina nella più generale indifferenza. Natalizia. Col conforto giornalistico degli aedi della violenza levatrice della storia: anime belle e costituzionalisti più o meno globali levatevi di torno.

Oggi che il mondo si sia girato a destra vuol dire questo: che il polo della giustizia si appiattisce completamente su quello della forza e vince la politica che rigetta i vincoli del diritto, anche se violandoli diventa criminale e si rovescia nel suo opposto, la guerra. Forse se i leader della sinistra mettessero finalmente a fuoco questa catastrofe, invece di chiamarsi “sinistra per Israele” o sostenere la guerra giusta, qualche cuore tornerebbe a battere per loro.

EPPURE IL CIRCOLO diventa virtuoso, se ricomincia a girare dalla parte opposta, senza che ci sia bisogno di un’altra apocalissi per arrivare alla conclusione che «la guerra è un assassinio di massa, la più grande disgrazia della nostra civiltà; e che garantire la pace mondiale deve essere il nostro principale obiettivo politico, un obiettivo che viene molto prima della scelta fra democrazia e dittatura, o tra capitalismo e socialismo» (Hans Kelsen, La pace attraverso il diritto, 1944).

Lungi dall’essere “risolvibile”, il paradosso del diritto è motore di civiltà finché l’intelligenza che abita il suo polo ideale fabbrica strumenti legali e istituzioni per regolamentare e dirigere settori sempre più vasti del polo inferiore, quello della forza, inclusa quella globale del cosiddetto sistema militare-industriale. Il pacifismo giuridico è un’invenzione di questa intelligenza, che fu da noi quella di Norberto Bobbio e dei suoi scritti postbellici raccolti ne Il problema della guerra e le vie della pace (Il Mulino), come fu quella di Altiero Spinelli, architetto istituzionale di un’unione politica europea che privasse del tutto gli stati nazionali del monopolio legittimo della forza, in linea di principio riducendo gli eserciti alla polizia di uno spazio comune sempre più ampio di sicurezza, libertà, giustizia e commercio sul continente intero, come anche Gorbaciov sognava.

MOLTO PRIMA, nella fucina profonda di un nuovo illuminismo, Edmund Husserl, cui la Grande Guerra aveva rivelato che la ragione doveva farsi diritto dell’umanità, universale e positivo vincolo all’arbitrio di qualunque potere, svolgeva nei suoi corsi di etica un’idea nuova di cultura, come consapevolezza delle delicate e complesse relazioni di interdipendenza fra tutte le vite, e dei vincoli fattuali e normativi, economici, etici, ecologici, estetici e logici, all’interno dei quali soltanto la libertà, la novità, la personalità di ognuno possono fiorire.

Ma era poi un’idea così nuova? I cristiani d’Oriente chiamarono Fotina, l’Illuminata, quella samaritana che al pozzo aveva ascoltato la lezione del maestro nazareno su quanto poco c’entrassero spirito e verità coi monti Garizim o Sion. E fu l’illuminato Capitini a risvegliare il pacifismo nell’illuminista Bobbio.

Forse si può pregare che Natale sia un simile solstizio, insieme, del cuore e della mente, nel pieno dell’inverno.