Negli Usa l'intera popolazione è di 331 milioni di individui circa.
Di questi quelli in età di voto (oltre i 18 anni) sono circa 258 milioni.
Di questi quelli in età di voto (oltre i 18 anni) sono circa 258 milioni.
Alle elezioni presidenziali hanno votato circa 132 milioni e 400 mila cittadini. Ossia poco più del 50% degli aventi diritto.
La percentuale del 65/66 che indica l'affluenza alle urne che si legge sui giornali, si riferisce a quanti sono iscritti alle liste elettorali, non all'intera popolazione che ha teoricamente il diritto di voto (i 258 milioni). Questo perché, come noto, il sistema non funziona come in Italia/Europa dove i cittadini sono iscritti d'ufficio alle liste elettorali. Oltreoceano devi chiedere tu di potere votare.
Ora, l'iscrizione alle liste elettorali non essendo automatica risente di una moltitudine di problemi che influenzano pesantemente la rappresentanza su cui si fondano le democrazie occidentali.
Per esempio: la questione del reddito, quella dell'istruzione, quella dell'etnia di appartenenza, quella del sistema di iscrizione alle liste che ogni stato ha, eccetera.
In ogni caso parecchie ricerche mostrano come forte sia la correlazione tra medio/alta scolarizzazione o medio/alto reddito o appartenenza al gruppo etnico privilegiato (bianchi) e alta partecipazione al voto.
I bianchi, nel 2020, erano circa il 59% della popolazione e la fascia di reddito mediana (tra 30.000 e 90.000 dollari per gli individui; tra 42.000 e 127.00 dollari per una coppia e per una famiglia di quattro persone tra 67.000 a 201.000 dollari) era pari al 51% della popolazione mentre circa il 29% della popolazione vive in famiglie a basso reddito (sotto i 25.000 dollari annui) pari a circa 96 milioni di individui e, infine, quelli classificati come poveri e poveri assoluti sono (2023) l'11% della popolazione pari a circa 38 milioni di persone.
Ora, senza volere scendere nei particolari (per esempio le enormi differenze di reddito tra bianchi, neri ed ispanici) e di fronte a questi numeri non pare troppo sbagliato dire che la famosa democrazia americana si regge sulla partecipazione al voto di una minoranza classificabile, per sommi capi, come principalmente bianca e benestante (la famosa middle class) che cambia presidenti (o governatori o congressmen) a seconda dei mal di pancia che ha in un determinato momento storico.
Al momento pare che abbia, a detta di molti, prevalso in questa popolazione di elettori l'affabulazione trumpiana che si fonda su poche, ma efficaci, parole d'ordine: sigillare le frontiere alla immigrazione, riportare negli Usa la produzione industriale negli ultimi venti anni traslocata in Cina, sostenere l'industria interna con dazi fantascientifici, alleggerire le tasse, puntare sulla innovazione tecnologica e quindi, sommando tutte queste cose, aumentare i posti di lavoro e il reddito soprattutto della famosa middle class impoverita dopo la grande crisi del 2008.
Ora, in un paese in cui l'indice di Gini è tra i più elevati al mondo e in cui il 10% delle famiglie più ricche possiede il 60% della ricchezza nazionale mentre l'1% più ricco ne possiede il 27% e con quasi cento milioni di individui che campano a stento (quelli che hanno un reddito annuo da 25mila dollari in giù) ci si aspetterebbe che una delle principali azioni promesse dal candidato più votato fosse quella di una più equilibrata redistribuzione della ricchezza attraverso politiche fiscali ad hoc, in linea peraltro con le richieste di centinaia di miliardari che ogni anno scrivono lettere aperte ai governanti chiedendo di essere tassati di più (l'ultimo è questo https://www.tpi.it/economia/
Invece niente.
L'elettore trumpista non è interessato a queste cose (e, ad onor del vero manco l'elettore di Harris che ha a cuore le stesse cose cha ha a cuore l'elettore trumpista solo che invece che sbavare mentre mangia nel fast food si pulisce la boccuccia con il tovagliolino che tiene sulle gambe al ristorante).
L'elettore trumpista, piccolo borghese impoverito o arricchito che sia, non è interessato a un riequilibrio della ricchezza. Non è interessato a cercare di capire che significa aumentare i dazi a dismisura (per esempio significa che la stessa merce cinese o italiana che compravi prima a 10$ adesso la comprerai, americana, a 15 o 20. Se potrai permettertela). Non è interessato a chiedersi che faranno gli altri paesi di fronte a scelte come queste e se esistono seri rischi di conflitto economico (e non solo) dalle conseguenze pochissimo allegre. Non è interessato a capire perché alle porte delle sue frontiere bussano milioni di morti di fame invece che starsene nei loro paesi. Non è interessato a capire come sia stato possibile che in 40 anni (da Reagan in poi) la sua famosa classe sociale di appartenenza si sia impoverita drasticamente mentre i nuovi ricchi si sono arricchiti fuori da ogni fantasia e logica.
L'elettore trumpista (e quello harrisista) ha una dimensione dei fenomeni sociali e politici (nazionali e globali) che coincide coi suoi problemi personali/familiari.
Per cui il problema è, per quello impoverito, di tornare ad avere la villetta col giardino e il SUV posteggiato davanti casa e, per quello ancora benestante, di non perdere quello status.
Perché questa è l'essenza, lo spirito guida, la ragion d'essere, del piccolo borghese americano e non solo: il suo scandaloso individualismo e il suo perverso "patriottismo", questo suo perverso amore per una "patria", un paese, che manco conosce poiché la sua vastità è gigantesca e le differenze abnormi.
Trastullarsi dietro l'idea - molto in voga tra gente di destra e di sinistra dalle nostre parti - che il trumpismo sappia parlare alle fasce più deboli di una società a me sembra se non idiozia superficialità.
Trump (o Harris) non parla alle decine di milioni di diseredati che crepano perché non hanno da mangiare o da curarsi o a quelli che sbarcano il lunario arrangiandosi in tutti i modi, legali e illegali, possibili.
Parla a quelli che hanno paura di perdere il loro status di piccoli ridicoli privilegiati o a quelli che lo hanno perso e vogliono a tutti i costi recuperarlo.
Parla, cioè, al piccolo borghese maggioritariamente presente nel paese. Quello che va ad iscriversi alle liste elettorali. Che ha il tempo e l'occasione per farlo (a proposito: nelle zone più depresse, quelle a più alta densità di marginalità, non vengono manco messi su i seggi elettorali).
Viene da chiedersi perché il "gigante dormiente", cioè proprio quella popolazione di marginali o quasi (quantificata prima in circa 100milioni di individui) non vada a votare o non cerchi una alternativa partitica (e dire che esiste il partito socialista, quello comunista, quello laburista e molti altri partiti "radicali" esistono anche lì) o perfino non metta mano alla pistola e faccia una rivoluzione.
La risposta, che io ritengo l'unica degna di essere presa in considerazione, è quella che diede parecchi decenni fa Steinbeck: "Il fatto", disse, "è che i poveri non vedono loro stessi come membri oppressi del proletariato, bensì come milionari temporaneamente in difficoltà".
Il famoso "sogno americano" sta tutto in quelle parole: la speranza, per molti, (e forse anche la rassegnazione), prevale su qualunque idea di lotta sociale e collettiva.
E questa idea, fondata sulla cosiddetta meritocrazia, sul sacrificio personale, sullo scalare vette per arrivare in cima (anche se sei un Sisifo qualunque destinato al più totale dei fallimenti), sull'idea che la tua genialità e il tuo sapere approfittare delle opportunità alla fine premi, sull'idea che tutto dipende da te e pochissimo dal mondo che ti circonda e che solo i parassiti chiedono aiuto, non solo è radicata morbosamente al di là dell'oceano ma ha preso piede pure in Europa ormai da più di un trentennio.
Il piccolo borghesismo gretto e individualista, "narrow minded" come dicono da quelle parti, a dispetto delle lauree prese e dei dollari/euro in banca posseduti, è il nuovo fantasma che si aggira per il mondo.
Un fantasma che sta impossessandosi di tutti.
Se già non l'ha fatto.