Il presidente dell’Ordine dei Geologi dell’Emilia-Romagna: "Siamo un territorio fragile". Sulla manutenzione dei fiumi: "La vegetazione va gestita bene. Il dragaggio? E' una scemenza"
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uello romagnolo è un territorio fragile, che questo fine settimana, ancora una volta, ha subito pesanti danni in seguito a uno di quegli eventi meteorologici estremi che, ormai, si stanno verificando sempre più spesso. Dalla collina alla costa, le acque fanno sempre più paura, sia che scendano da una montagna, sia che tracimino da fiumi o canali. Le popolazioni colpite invocano risposte e, soprattutto, interventi risolutivi. Ma quali devono essere questi interventi? A fornire un quadro della situazione è Paride Antolini, cesenate, presidente dell’Ordine dei Geologi dell’Emilia-Romagna.
Ancora una volta ci troviamo davanti a un evento meteo estremo (il quarto di questo tipo da maggio 2023) e, anche se la situazione più critica si è registrata in Emilia, il territorio romagnolo ne ha subito ancora le conseguenze. Siamo un territorio fragile?
Assolutamente sì, siamo un territorio fragile. E poi, dopo il terzo-quarto evento in un anno e mezzo dobbiamo cambiare approccio. Questo cambiamento climatico ci pone davanti a eventi che stanno avvenendo con una certa frequenza e con cui dobbiamo fare i conti. Non si può più intervenire sul territorio con ordinarietà, quindi con manutenzione ordinarie o straordinarie, qui occorre un piano neanche regionale ma nazionale per ripensare un po' il territorio. Qui siamo di fronte a investimenti colossali che dovranno riguardare anche le delocalizzazioni. Quanto successo nel Bolognese, non tanto nella città metropolitana, ma nelle vicine valli del Savena o del Zena, ci sono situazioni difficilmente recuperabili e occorre pensare anche a una delocalizzazione. Stiamo parlando di interventi veramente importanti.
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Tra le zone da delocalizzare include anche aree del territorio romagnolo?
Per dire se una zona è delocalizzabile o meno andranno fatti gli opportuni ragionamenti. A un primo esame, ci sono problematiche in determinate situazioni che sono difficilmente risolvibili. E ci sono anche nel territorio romagnolo. Quando si pensa alle situazioni sulle aste intravallive dei nostri fiumi, dove a monte hai poca possibilità di trattenere dell'acqua oppure ne trattieni una quantità minima, se si prevedono arrivi di determinate piene non possiamo pensare di difenderle, come si faceva una volta, innalzando argini o muri. Perché l'innalzamento di un muro o un argine, quindi la salvezza di un paese, potrebbe costituire il problema in un altro paese. Salviamo un'area per allagarne un'altra.
In questo fine settimana ci sono stati allagamenti sulla costa, da Bellaria alla costa ravennate, con i disagi maggiori a Cesenatico. Quali sono state le criticità che hanno portato a queste situazioni di emergenza?
Sicuramente la quantità di pioggia che è caduta in pochissimo tempo. Quando oltre 100 millimetri di pioggia (a Bologna addirittura 175 millimetri) cadono in poche ore la nostra rete di deflusso principale o secondaria urbana va in crisi. Ed è quello che è successo. A Cesenatico siamo stati anche fortunati, il mare benché l'onda fosse alta ha sempre ricevuto le acque del porto canale. Le idrovore del Consorzio di Bonifica buttavano nel canale l'acqua e questa passava attraverso le porte vinciane aperte. Se l'onda del mare fosse stata più alta ci sarebbero potute essere conseguenze più gravi. Cesenatico è circondata dall'acqua. C'è il mare da una parte che tende a innalzarsi di qualche millimetro all'anno e a monte c'è tutto un reticolo scolante secondario che deve scolare a mare e lo fa solo grazie alle idrovore. Siamo un una situazione di criticità estrema. A Cesenatico certe cose vanno ripensate. Si deve ripensare a un territorio, riprogettare un quartiere. Nelle località di mare la prima fascia vicino al mare dovrebbe essere sempre rinaturalizzata, senza guardare in faccia a nessuno. Bisognerebbe pensare alla demolizione nel caso di aree dismesse o abbandonate e non rioccuparle con edifici, ma ricostruire le dune naturali che c'erano una volta. Diventerebbero delle dune semiartificiali. Questa rinaturalizzazione della prima linea è ciò che servirebbe se vogliamo mantenere un paesaggio romagnolo come quello che vediamo nelle cartoline, con un'ampia spiaggia. In alternativa, se vogliamo mantenere alberghi e condomini a 50 metri dal mare, cosa succederà in futuro? Accadrà che tutti i lavori di ripascimento delle spiagge non basteranno più. Le mareggiate mangeranno le spiagge, perché il mare si sarà alzato. Si penserà di fare un muro per difendere le strutture. Ma la costruzione di un muro è la disfatta totale, perché difendiamo i nostri edifici e abbandoniamo sicuramente la spiaggia. Sto parlando di un evoluzione che non avverrà in un anno o due, ma che interesserà la futura generazione. Il discorso vale per Cesenatico, come per tutta la costa romagnola. Quando si parla di fare le piscine sulla spiaggia, questo progetto cozza con il problema dell'ingressione marina. Questa situazione avrà dei problemi di mantenimento.
Da questo punto di vista la costa ravennate è più fortunata?
No, il Ravennate ha un livello medio su livello del mare molto basso, quindi tutte le volte che ci verificano certi eventi si ha un problema con il deflusso di fiumi e canali verso il mare. E la tendenza è che il territorio continui ad abbassarsi, ciò vuol dire che le aree sotto il livello del mare in futuro saranno in aumento. Finché si tratta di aree naturali, lagune o paludi è un conto, ma quando ci sono delle zone abitate queste saranno sempre più difficili da difendere dalle alluvioni.
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L'entroterra ravennate, invece, rimane ancora una volta ostaggio dei fiumi, preoccupato per ogni passaggio di piena. Come risolvere questa situazione?
La situazione si risolverà mettendo mano a tutti quegli indirizzi contenuti nei piani speciali che attualmente sono fermi a Roma, quindi tutto il ripensamento del territorio di cui parlavo prima. Si tratta di investimenti immani che dovranno cercare di trattenere più acqua possibile a monte. Se non riusciremo a trattenere acqua a monte, si parla di tracimazioni controllate dove ampie zone di territorio agricolo, a bassa densità costruttiva, che verranno destinate ad allagamenti artificiali. Poi si dovrà trovare l'area e prevedere l'allontanamento di queste acque, attraverso canali, per farle defluire velocemente. Anche questo comporta interventi di notevole mole economica, soprattutto per gli indennizzi agli agricoltori.
In molti criticano la mancanza di manutenzione dei fiumi. Si parla spesso della eccessiva vegetazione presente lungo gli argini e anche dei letti dei fiumi che andrebbero scavati maggiormente. Lei cosa ne pensa?
Il dragaggio dei fiumi è una scemenza, si può parlare di pulizie locali, nel senso che si possono riprofilare le golene, possono essere localmente rimossi gli accumuli di detrito limoso o terroso. Ma il dragaggio in sé assolutamente no. Anche perché abbassando il letto del fiume di 20-30 centimetri non porterebbe vantaggi incredibili come portata, ma porterebbe problemi erosivi che si riverserebbero sulle strutture che incontrano, quindi ponti e argini. Per quanto riguarda invece la vegetazione, questa non va eliminata a prescindere ma va gestita. I nostri fiumi sono corsi d'acqua modificati nel corso dei secoli. Ci sono dei tratti dove la vegetazione serve per mantenere consolidata la scarpata dell'alveo, quindi se non ci fosse andrebbe in erosione. Ci sono altre situazioni in cui magari (la vegetazione, ndr) andrebbe tolta. Ci sono dei tecnici che su questo devono lavorare. Tanto è che ci sono dei tratti in cui la vegetazione è stata tolta e adesso abbiamo dei problemi di erosione. Ovvio che non dobbiamo tenere un bosco dentro i nostri fiumi, ma una vegetazione adeguata alle caratteristiche dei nostri corsi d'acqua.