Riforme Ampia "lista dei desideri" dei due presidenti delle Regioni Lombardia e Veneto, per una riedizione ampliata delle antiche polis greche. Tre domande per la presidente Meloni che ha il compito di vagliare le istanze
Il ministro Calderoli con i presidenti delle Regioni Lombardia e Veneto, Fontana e Zaia – Ansa
Cominciano a circolare, in via ufficiosa, i dettagli delle richieste che Veneto e Lombardia hanno messo sul tavolo dell’autonomia differenziata. Le due regioni partono in pole-position, avendo già stipulato accordi preliminari con i governi Gentiloni e Conte, ed i negoziati potranno quindi procedere più speditamente che negli altri casi (in base all’art. 11 della legge 86/2024).
Lombardia e Veneto chiedono l’attribuzione di competenze nelle materie classificate come “non-Lep” dal Comitato Cassese, ma solo come primo passo verso l’autonomia. Le richieste saranno poi progressivamente estese anche alle “materie Lep” a partire da quelle già oggetto di trattative nelle precedenti legislature (politiche del lavoro, istruzione, sanità e tutela dell’ambiente).
Proviamo ad immaginare lo scenario che si prospetterebbe qualora questa prima “lista dei desideri” venisse integralmente accolta dall’esecutivo in carica.
SUL PIANO DEI RAPPORTI internazionali, i presidenti Fontana e Zaia diverrebbero coprotagonisti, insieme al ministro Tajani, della stipula di eventuali accordi con Stati confinanti (nel caso del Veneto i confini comprenderebbero anche le “frontiere marittime”). Disporrebbero del potere di siglare intese con organismi internazionali o con enti territoriali di altri Stati per la promozione delle imprese locali.
Parteciperebbero, alla pari con il governo centrale, alla definizione delle direttive europee e al loro recepimento nella normativa nazionale. Siederebbero, insieme ai rappresentanti degli altri Stati membri, ai tavoli europei in cui si definiscono le politiche di coesione, le procedure di infrazione e la disciplina sugli aiuti di Stato.
In materia di governo del territorio, Fontana e Zaia assumerebbero un ruolo di vertice nelle funzioni di protezione civile. Disporrebbero del potere di emettere ordinanze in deroga alle leggi statali nel caso si verifichino calamità di portata regionale e potrebbero di conseguenza aprire contabilità speciali per velocizzare l’accredito dei contributi statali. Determinerebbero gli organici del personale regionale addetto alla protezione civile, in deroga ai vincoli e ai tetti di spesa posti dalla normativa statale. Stabilirebbero gli standard per le attività formative da fare valere per il riconoscimento di corsi somministrati da enti sul territorio. Il presidente Zaia potrebbe addirittura derogare alle direttive del Presidente del Consiglio dei ministri e, in caso di calamità di rilievo nazionale (come lo è stato il Covid), assumerebbe il ruolo di Commissario delegato all’emergenza; in materia antincendio, avrebbe le responsabilità di coordinamento e reclutamento del corpo dei vigili del fuoco.
CON RIFERIMENTO alla finanza pubblica, Lombardia e Veneto si approprierebbero del gettito di alcuni tributi erariali (l’imposta sostitutiva sui rendimenti dei fondi pensione e l’imposta di bollo sui conti correnti accesi presso banche regionali) insieme a una quota parte dei proventi dell’azione di contrasto all’evasione svolta a livello centrale (!). Acquisirebbero pieni poteri di manovra sull’Irap, sull’addizionale all’Irpef, sulle tasse automobilistiche, sull’ecotassa sui rifiuti solidi. Potrebbero trattenere l’eventuale differenza fra il fabbisogno finanziario (calcolato dalla discussa Ctfs, cfr. Autonomia, il trucco dei Lep va avanti) e la spesa effettivamente sostenuta per le funzioni trasferite. Sarebbero liberi di scegliere il proprio modello di funzionamento, senza vincoli di personale e organizzativi. Un aspetto importante è che le due regioni terrebbero sotto scacco Comuni e Province del proprio territorio, poiché accentrerebbero tutti i trasferimenti perequativi statali ad essi destinati e ne deciderebbero i criteri di riparto.
FRA LE ALTRE MINUTAGLIE richieste dai presidenti regionali rientrano infine il potere di disciplinare l’ordinamento delle banche regionali, di introdurre nuovi albi professionali e – nel caso del Veneto – di istituire fondi pensione complementari, decidere la dislocazione degli uffici dei giudici di pace e gestire i rapporti di lavoro del personale ad essi addetto.
Nel complesso ci troveremmo di fronte a due regioni-Stato, una sorta di riedizione su una scala territoriale più vasta delle antiche polis greche. E siamo solo al primo boccone del pasto gratis dell’autonomia differenziata.
Alla Presidente Meloni spetta il compito di vagliare le richieste regionali usando le lenti dell’«unità giuridica o economica, nonché di indirizzo rispetto a politiche pubbliche prioritarie» (art. 2, comma secondo, della legge 86/2024).
Nell’esercizio di tale scrutinio la invitiamo a porsi tre semplici domande: quali sono le peculiarità locali che motiverebbero il trasferimento di un insieme così ampio ed eterogeneo di funzioni proprio a Lombardia e Veneto? Si possono considerare efficienti le modalità di finanziamento di tali funzioni, sostanzialmente basate sull’attribuzione automatica di quote di gettito erariale (cfr. Autonomia. La falsa retorica dell’efficienza)? Come si concilia il potere di spesa collegato alle richieste regionali con il rispetto del Piano strutturale di bilancio, che esige un serrato controllo dei conti pubblici nei prossimi sette anni?
DI FRONTE alla dimensione globale delle sfide con cui le società moderne devono confrontarsi, le richieste dei due governatori del Lombardo-Veneto rischiano di proiettare l’Italia pericolosamente indietro nel tempo restituendole il ruolo di una mera “espressione geografica”.