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Controcampo Il voto sulla presidenza del cda sarà il prossimo banco di prova non solo per la maggioranza, ma anche per la tenuta, almeno di facciata, dell’ormai evaporato campo largo

Il vecchio tic dello scontro sulla leadership

 

L’impegno a fare la riforma Rai in tempi utili a rispondere alle indicazioni europee (indipendenza dei media dalla politica)? Non pervenuto. L’intesa su un nome «di garanzia» – cioè non targato – per la presidenza del cda Rai?

Non risulta e Forza Italia anzi insiste sulla sua candidata Simona Agnes. Ma ora nell’opposizione siamo alla fiera della rivendicazione, dei puntini sulle i e pure del «ma quando mai…». Fratoianni e Bonelli si appuntano una medaglia sul petto per aver sventato, grazie all’elezione in cda del loro candidato Roberto Natale, la totale occupazione della tv pubblica da parte della destra meloniana. E rivendicano come successo l’aver ottenuto da quella stessa destra un generico impegno su una riforma Rai: martedì saranno incardinati in commissione al Senato «tutti i ddl» in materia (poi si vedrà).

Conte conferma il consigliere pentastellato Di Majo, non esattamente una sentinella contro gli abusi di TeleMeloni, e gioca alle tre carte con Elly Schlein lasciata sola sull’Aventino della non partecipazione al voto sulle nomine: «Il Movimento non ha mai cambiato posizione. Abbiamo chiesto un impegno sulla riforma prima dei nomi» e l’impegno è stato ottenuto. Uno dei comunicati firmati da Pd, Avs, Azione, Iv e 5 Stelle recitava: «Le opposizioni sono indisponibili a rinnovare il Cda Rai in assenza della riforma». Non è esattamente la stessa cosa dell’«impegno a», ma sono quisquilie, pinzelacchere, figurarsi, si alza sempre l’asticella mettendo in conto un margine di trattativa. Peccato, per restare sul pragmatico, che sul piatto della bilancia di Conte e Fratoianni-Bonelli non ci sia granché, oltre alla nomina dei due consiglieri “in quota”.

Il voto sulla presidenza del cda sarà il prossimo banco di prova non solo per la maggioranza, ma anche per la tenuta, almeno di facciata, dell’ormai evaporato campo largo e per i soliti sospetti: i 5 Stelle, che ripetono «no Agnes», ma sono da tempo abili battitori liberi sul fronte della tv pubblica. Un fronte sul quale la segretaria del Pd ha invece deciso di non scendere a patti. Lo ha fatto per non rimangiarsi l’aut aut, per mantenere un minimo di credibilità in occasione della prossima invettiva contro TeleMeloni, per non infilarsi in una trattativa tra correnti dem che rischiava di triturarla o perché pensa che la lottizzazione di mamma Rai sia roba da arsenico e vecchi merletti? Di motivi validi ce ne sono a iosa e hanno poco senso le bizze su chi sta con chi ( i 5S accusano la leader del Pd di aver scelto l’Aventino con Renzi per una precisa scelta di campo).

Mettendo da parte le terragne e decisamente stantie vicende da tubo catodico, è evidente che c’è un problema di sintonizzazione tra i leader dell’alleanza mai nata. Il problema non sono i nomi degli alleati (Renzi sì, Renzi no) ma i temi, ripete sempre Schlein. Ecco: sono sempre di più i temi – dalla guerra allo ius soli e ora anche al lavoro – sui quali manca la sintonia. O forse la sintonia non si trova perché il vero conflitto più che sui temi è sull’egemonia del “campo” e sulla sua leadership. Un vecchio tic (maschile) del centrosinistra, fronte progressista o come si voglia chiamare. Arsenico e vecchi merletti. L’alternativa può attendere e Meloni può brindare all’ultima e inaspettata incursione vittoriosa nel campo delle opposizioni