Governo. Non c’è solidarietà umana né lealtà di coalizione dietro la sguaiata difesa che Meloni fa di Salvini, accusato di un reato assai grave, compiuto e rivendicato sotto gli occhi dell’opinione […]
Non c’è solidarietà umana né lealtà di coalizione dietro la sguaiata difesa che Meloni fa di Salvini, accusato di un reato assai grave, compiuto e rivendicato sotto gli occhi dell’opinione pubblica quando il capo della Lega era in una stanza a palazzo Chigi e l’attuale presidente del Consiglio all’opposizione. Ogni giorno e in ogni occasione possibile, che si tratti di nomine o scelte politiche importanti, i due si danno infatti battaglia in una perenne campagna elettorale all’interno dello stesso bacino di consenso.
Sono altre le ragioni che spingono la presidente del Consiglio a stracciare ancora una volta quella veste istituzionale che proprio non le si adatta. Innanzitutto la condivisione che i migranti vanno intesi prima di tutto come carne da propaganda, una minaccia che non esiste sul piano della realtà ma che funziona benissimo, ha sempre funzionato, in campagna elettorale. Poi c’è il disprezzo per qualsiasi cosa possa anche solo alludere alla separazione dei poteri.
Nel momento in cui la premier disegna un’architettura istituzionale centrata sul potere assoluto di un’eletta dal popolo è del tutto coerente che ribadisca come nessun controllo di legalità potrà mai essere tollerato. E infine c’è la conferma dell’unica “politica” che questa destra è in grado di immaginare di fronte a un fenomeno come quello delle migrazioni che nessuna mitragliata di decreti sempre meno costituzionali è in grado di affrontare seriamente.
La “politica” della paura che se vale per gli elettori in patria deve valere anche per chi si mette in viaggio per sopravvivere: meglio che non ci tentiate.
La presidente del Consiglio che qualche anno fa suggeriva di sparare dall’alto sui barconi, il cui ministro dell’interno non si è fatto scrupolo di dare la colpa delle morti nelle traversate agli stessi morti, vede chiaramente nella ferocia di Salvini che ai tempi del primo governo Conte lasciava i migranti in una prolungata condizione di sofferenza la ragionevole anticipazione delle sue deportazioni in Albania. Meglio che non ci tentiate.
Crudele, ma anche inefficace. Così come non basta un video fuori da ogni grammatica istituzionale e dai toni allucinati ad allontanare il rischio di una condanna per il vice presidente del Consiglio. Che è tutt’altro da escludere e che sarebbe un’ulteriore problema per il governo. Qui il discorso deve però allargarsi. Perché se mettiamo in fila i nomi che raccontano tutti i guai della destra al potere, Salvini è solo l’ultimo.
Prima ci sono quelli di Sangiuliano, Lollobrigida, Delmastro, Toti, Santanchè e sicuramente dimentichiamo qualcuno. Nessuno di questi nomi parla di un’iniziativa dell’opposizione per mettere in difficoltà l’altra parte. La destra si fa male da sola, spesso semplicemente essendo se stessa. Anche perché il centrosinistra non tocca palla, ancora in attesa di definirsi dopo il suicidio elettorale, dal quale però sono passati ormai due anni. Tanto da non escludere in alcune sue componenti, dopo la riapparizione di Draghi, nemmeno la speranza di un nuovo colpo di palazzo con un non nuovo protagonista.
Nel frattempo l’opposizione si limita ad assistere allo spettacolo dei disastri altrui. Spettacolo orrendo, ma che può persino peggiorare e non è detto duri poco