Commenti. La manovra «seria ed equilibrata» di bilancio annunciata dal ministro dell’economia Giorgetti non sembra perciò essere la chiave per fermare il declino del sistema industriale italiano. Serve un cambio di passo, un modello di sviluppo che ponga al centro investimenti, formazione e lavoro di qualità. Per evitare la lenta agonia
Il calo a luglio dell’indice destagionalizzato della produzione industriale non è soltanto un problema congiunturale. La serie negativa è anche su base annuale. Rispetto al mese di settembre 2023 quello che si osserva è un vero e proprio tracollo dell’attività industriale italiana. Un salto all’indietro. Un tonfo del -3%, ancora più preoccupante se si considera che la marcia indietro si protrae ormai da 18 mesi.
La rilevanza del dato è evidente. Posto pari a 100 il volume della produzione del febbraio 2023, oggi lo stesso indice segna appena 95,2 (-4,8%). Quindi, per l’Italia una “torta” complessivamente più piccola da dividere però, secondo i dati Istat di agosto, tra un numero crescente di occupati. Una tendenza che accentua ancor di più le disuguaglianze nella distribuzione del reddito, considerando che i salari reali medi sono fermi (per essere ottimisti) da oltre 20 anni (Ocse, 2024).
Solo pochi settori industriali si salvano. Le diminuzioni riguardano quasi tutto il manifatturiero. Avanzano lentamente l’alimentare (5%), il chimico (4%) e l’energia (2%). Pochi comparti industriali e non tutti ad alto contenuto tecnologico. Tra i settori più colpiti ci sono l’automotive (-26%), l’abbigliamento (-19%) e, senza eccezioni alcuna, i comparti di punta in termini di R&D e innovazione.
Uno scivolamento all’indietro del sistema produttivo nazionale che rischia di relegare l’economia italiana ai margini della competizione globale. Una inascoltata sirena d’allarme sempre più preoccupante, anche alla luce del rallentamento europeo, con la profonda crisi del settore automobilistico tedesco, che trascina con sé anche la produzione italiana di beni intermedi, inclusa la componentistica auto (-7%).
Cosa attendersi? L’Italia e i Paesi europei si trovano oggi in una posizione fragile, schiacciate, tra l’incudine e il martello degli Stati uniti e della Cina, detentrici di tecnologie avanzate, know-how e risorse. Sono questi i fattori strategici che consentono oggi il controllo delle catene di valore mondiali, dello sviluppo e della fornitura. Il modello italiano, da tempo vulnerabile nelle stesse filiere produttive europee, e più di esse, rischia, in assenza di politiche industriali, di accumulare un ritardo non più colmabile nella competizione internazionale.
Serve una politica industriale. L’indice Istat della produzione industriale è il termometro che misura lo stato di salute dell’attività economica. Anticipa di qualche mese la dinamica del Pil. Con una crescita modesta (se non nulla) i margini per la prossima manovra di bilancio saranno sempre più stretti. Anche alla luce del nuovo Patto di Stabilità firmato dal Governo Meloni. Una coperta corta che rischia di de-finanziare ulteriormente aree cruciali della spesa sociale e degli investimenti pubblici, come è già accaduto in questi mesi con i tagli al sistema sanitario, educativo ed universitario.
La manovra «seria ed equilibrata» di bilancio annunciata dal ministro dell’economia Giorgetti non sembra perciò essere la chiave per fermare il declino del sistema industriale italiano. Serve un cambio di passo, un modello di sviluppo che ponga al centro investimenti, formazione e lavoro di qualità. Per evitare la lenta agonia.
*Entrambi gli autori sono del dipartimento economia, società, politica dell’Università di Urbino Carlo Bo