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Reddito di esclusion. Intervista alla sociologa Nunzia De Capite

«Sempre più lavoratori poveri serve una misura universale» Mensa Caritas foto di Lapresse

«La categorialità degli aiuti non funziona, ci vuole un reddito di base». Nunzia De Capite, sociologa, da 10 anni coordina la realizzazione del Rapporto Caritas di valutazione delle politiche di contrasto alla povertà, commenta i dati Eurostat che vedono tutti gli indici sulla povertà migliorare anche se segnala che le famiglie italiane sono sempre più povere.

Si prestano a una lettura ambivalente
Il “Quadro di valutazione sociale” di Eurostat è andato in miglioramento, è interessante perché conferma che sulla povertà, anche se sempre distanti dal resto dell’Europa, abbiamo fatto passi avanti ma va letto bene.

In che senso?
I dati vanno letti storicamente, il monitoraggio si basa sul 2023 e conferma che le misure pubbliche come il reddito di cittadinanza e l’assegno unico hanno avuto un impatto sui redditi più bassi. Il vero tema però è un altro

Quale?
Questi dati ci dicono che chi è povero è stato aiutato e che le misure sono state efficaci, il vero problema è l’impoverimento legato a redditi da lavoro molto bassi e l’aumento del costo della vita. È acclarato, ormai, che gli stipendi sono fermi dalla fine degli anni ‘80. Adesso siamo alle prese con una inflazione galoppante che sta generando un contraccolpo pesantissimo sui lavoratori. Vedremo i dati del prossimo anno cosa evidenzieranno. Intanto direi che questi dati ci stanno avvisando: se anche non ci fosse l’inflazione bisogna comunque intervenire corposamente sui redditi. Alcune misure aiutano i poveri, non chi si impoverisce. Ma noi della Caritas vorremmo sottolineare due elementi che sono fattori di rischio

Cosa vi preoccupa?
Per prima cosa il gender gap molto alto. Un divario di genere molto forte è un fattore di rischio povertà che va considerato perché ha delle ripercussioni a livello sociale ed economico e poi il dato sconfortante sulle competenze digitali. La pubblica amministrazione a fatica si sta digitalizzando, anche per le misure di base e questo sta complicando l’accesso agli aiuti. Anche questo è un fattore di rischio.

Poi?
L’abbandono scolastico che rimane altissimo e ci dice qual è il destino dei giovani in questo momento storico. La distanza europea è ancora molta è evidente che ci vogliono interventi di medio e lungo termine da mettere in atto subito, con l’inflazione la rischiesta di aiuto delle famiglie aumenta

Sono cambiati i vostri utenti nell’ultimo periodo?
In questi anni abbiamo fatto un lavoro complementare con le misure nazionali e regionali come il reddito di cittadinanza. Non c’è dubbio che sia stato un aiuto anche se non era esaustivo e spesso erogava importi inadeguati, per esempio alle famiglie numerose o al costo della vita al nord. Adesso per noi il grande tema sono gli esodati del reddito che non sono usciti di scena. Stiamo facendo un monitoraggio, non abbiamo ancora dati e non possiamo fare una valutazione. Notiamo però che molti adulti non in famiglia non stanno facendo domanda neanche per il Supporto alla formazione e al lavoro, che sostituisce l’Rdc, perché sono in condizioni marginali.

Come bisognerebbe intervenire secondo la Caritas?
Occorre provare a tornare una misura di aiuto economico universalistica, sarebbe una grossa conquista in questa fase. I provvedimenti messi in atto ultimamente servono solo se sei povero e madre, povero e con un disabile, povero più qualche altra cosa. È un problema perché non si possono prevedere tutte le situazioni di povertà che ci sono, e molte persone rimangono escluse. Si deve tornare a un reddito minimo per tutti. Spezzettare gli aiuti, un card per le spese alimentari, un bonus di qui, un’esenzione di là, non serve. Anche perché molti aiuti poi si sovrappongono e sono temporanei. Sarebbe molto più utile eliminare la categorialità a favore dell’universalità: ogni famiglia farà poi le sue valutazioni, su cosa serve, sui suoi bisogni. Le misure una tantum andavano bene durante la pandemia ma non in questa fase con l’inflazione e il lavoro povero